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La francesina

Image of Esther Duflo

ECONOMIA – Cervello in fuga da Parigi al Massachusetts Institute of Technology, minuta, determinata, accento da ispettore Clouseau, Esther Duflo è una grande economista le cui ricerche servono a lottare con mezzi “evidence-based” contro la povertà, per i diritti umani e il buon governo.

Questo mese, il Jameel Poverty Action Lab (J-PAL) compie dieci anni, contro ogni previsione. Nel frattempo ha aperto succursali in vari paesi e condotto ben 440 esperimenti randomized per verificare e valutare i risultati di interventi realizzati o previsti nel terzo mondo da agenzie dell’ONU, fondazioni e ONG.

Nel 2003 lo fondavano Esther Duflo insieme ad Abhijit Bannerjee per metà indiano, con 100 mila dollari per un anno. Quanto bastava per quattro esperimenti in Africa subsahariana e in India per testare una loro idea: adattare all’economia il metodo degli esperimenti clinici.

All’inizio l’idea era malvista dagli esperti. Erano appena partiti gli otto Scopi del Millennio coordinati dall’economista Jeffrey Sachs, di Harvard, che dovevano dimezzare la povertà mondiale entro il 2015 (dovrebbero essere ridefiniti l’anno prossimo ed eventualmente prolungati). Ma i risultati dei due giovani hanno messo in luce le premesse infondate e lo scarso rigore dei progetti varati dall’ONU ben prima che lo facessero alcuni ricercatori sul Lancet nel 2010, scatenando una polemica tuttora in corso.

Partivano da domande di buon senso. Conviene spendere molti soldi in pochi “villaggi-pilota” per programmi prestabiliti o dare a tanti villaggi la possibilità di scegliere una priorità e di realizzarla in proprio? Dare un bonus ai poliziotti che non intascano mazzette? Diminuire il numero di alunni per classe? Aumentare lo stipendio degli insegnanti o migliorarne la formazione? A quali attività economiche il microcredito giova di più? Sono utilizzati o meno i forni solari distribuiti in alcuni stati dell’India o le donne cucinano all’alba e di sera quando il sole non c’è? Incrementa di più le rese agricole sovvenzionare i fertilizzanti o il diesel per pompare l’acqua e irrigare? Quali mezzi sono più efficaci nel frenare la corruzione (a livello locale, a livello nazionale si sa già che dei $130 miliardi/anno di fondi pubblici per lo sviluppo, il 30% finisce nelle tasche di funzionari statali, amici e parenti)?

Trovate le risposte nel libro I numeri per agire, tradotto da Feltrinelli, e sul sito del J-PAL in articoli, rapporti, aggiornamenti, una miniera di dati inaspettati, divertenti, tragici e di sicuro utili per chi collabora con un’ONG umanitaria. O per chi è preoccupato dal rapporto pubblicato lunedì dall’ISTAT su “Reddito e condizioni di vita” in Italia nel 2012.

L’Economist, non proprio imparziale (1) perché confida nel libero mercato più che nella generosità e nell’assennatezza dei paesi donatori, dedica due articoli all’anniversario del J-PAL e per la prima volta accenna ai suoi contrasti con il potente gruppo guidato da Jeffrey Sachs, ma senza entrare nei particolari. In questi ultimi anni, ha perso parecchi alleati come dimostra il numero crescente di partners del J-PAL. E perfino la Banca Mondiale ha adottato il metodo Duflo per alcune delle proprie ricerche.

Qualcuno obietta che il metodo è applicabile solo alla micro-economia dei poveri, non alla macro-economia decisa dai governi e sempre di più da un gruppo ristretto di istituti finanziari. Vero, ma non è il suo scopo. Intende discriminare tra interventi validi e non per i più vulnerabili, tra regole e norme che li discriminano o meno. Così facendo spiega la razionalità, e anche la dignità, delle scelte dei poveri anche quando sono sbagliate perché si basano su informazioni insufficienti o volutamente distorte da chi dovrebbe fornirle.

Adesso qualcuno obietterà che “la Duflo” è una militante. Vero anche questo, sorride, fa battute, viaggia in ultimi classe, veste di seconda mano e ama gli stivaletti borchiati. Non si monta la testa nonostante premi e medaglie, la cattedra al MIT a 27 anni e dieci anni dopo una creata appositamente per lei al Collège de France, la prima per una donna in oltre mezzo millennio. Certo, è indignata dalla miseria, dalle iniquità, dalle pubblicità per l’aborto selettivo delle nasciture che vede nelle città indiane, ma a pensarla come lei siamo la maggioranza. Spero.

(1) Non sono imparziale nemmeno io perché diversamente dalle tesi di Jeffrey Sachs et al., le ricerche del J-PAL tengono conto delle differenze tra le scelte fatte da uomini e donne e delle loro diverse motivazioni.

Crediti immagine: John D. & Catherine T. MacArthur Foundation/CC

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