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Fermare il mercato nero dell’avorio, una manciata di elefanti alla volta

400px-African_Bush_ElephantCRONACA – Negli anni l’interesse degli esseri umani per l’avorio ha abbondantemente superato gli sforzi per impedire l’assassinio degli elefanti: zanne strappate per fabbricare gioielli, tasti di pianoforti, oggetti religiosi, souvenir, amuleti, manici di pugnali o pezzi d’arte. Un materiale pregiato e pagato a caro prezzo, quello del sangue, e a peso d’oro: solo nel 2012 infatti la stima è stata di 96 elefanti cacciati di frodo ogni giorno, per rispondere alla crescente richiesta d’avorio, in particolare modo da parte dell’Asia.

Fortunatamente negli anni abbiamo ricominciato a prenderci qualche responsabilità per le devastazioni che portiamo nella natura, e deciso di renderci conto che andavano presi provvedimenti. La crociata contro questo antico commercio -stimato intorno ai 10 miliardi di dollari l’anno, e secondo solo a quello della droga e degli esseri umani- è iniziata a gran voce il 14 novembre scorso in Colorado, con la distruzione di tonnellate di avorio (tra zanne, monili e oggetti lavorati di vario genere) da parte della US Fish and Wildlife Service, l’agenzia governativa che si occupa della gestione delle risorse naturali. È stato un messaggio forte quello di Obama, al quale è prevista, a seguire, una moratoria su tutti gli scambi di prodotti in avorio: l’obiettivo finale è mettere la parola fine al commercio intero di questo materiale, partendo dalla radice.

Un passo successivo è stato quello della Cina, ancora più grande o solo forse più simbolico considerato che la richiesta più intensa d’avorio è proprio da parte dell’Asia: la Wildlife Conservation Society (WCS) si è complimentata con la China’s State Forestry Administration e la General Administration of Customs per aver distrutto il 6 gennaio tutto l’avorio confiscato. Si tratta di un grandissimo passo in avanti negli sforzi per proteggere gli elefanti da tutte le devastazioni causate dalla caccia di frodo, e di un messaggio importante per gli altri paesi. L’avorio è stato distrutto lunedì 6 gennaio nella città di Guangzhou della provincia di Guangdong, e questo provvedimento rappresenta un vero e proprio simbolo della responsabilità nei confronti della crisi dell’avorio che il governo cinese sente sempre più propria.

Come ha spiegato Cristián Samper, presidente e ceo della WCS, “Se la Cina distruggesse tutto ciò che resta delle sue scorte d’avorio e diventasse il baluardo di un impegno a non acquistare più avorio in futuro, avrebbe un impatto positivo fondamentale sulla sopravvivenza degli elefanti africani. Ci congratuliamo dunque con il governo per aver mostrato al mondo che il bracconaggio e la vendita illegale di avorio sono inaccettabili, e speriamo davvero che quest’azione dimostri una volta per tutte che possiamo vincere la guerra contro la caccia di frodo, e che gli elefanti potranno nuovamente prosperare senza minacce.”

I due provvedimenti, americano e cinese, hanno seguito l’input dato dalla storia di copertina pubblicata dall’influente quotidiano cinese Southern Weekly lo scorso novembre, che raccontava nei dettagli il funzionamento del mercato nero dell’avorio. La notizia ha fatto subito il giro dei social media in Cina, con più di un milione di contatti entro la prima settimana di pubblicazione. Si è trattato del primo vero mea culpa comparso su un media cinese nazionale, che riconosceva il ruolo primario della Cina nell’incoraggiare la caccia di frodo e la richiesta di avorio sul mercato. In più la storia riportata dal quotidiano ha sottolineato anche gli aspetti correlati alla vicenda, secondari ma non per importanza: l’avorio “insanguinato”, come viene chiamato, ha infatti sempre rappresentato una fonte di finanziamento molto importante per tutte le organizzazioni terroriste e i gruppi ribelli dell’Africa.

La Cina ha già aumentato i controlli sui crimini contro la natura e la fauna selvatica in molte parti del paese, e lo scorso mese le autorità della provincia di Jilin hanno arrestato cinque cacciatori di frodo: sembra un piccolo numero a fronte di quello di animali sacrificati, ma si tratta dell’arresto per bracconaggio più impegnativo effettuato nella storia della provincia. Questo fa certamente capire come siamo solo agli inizi di un viaggio che richiederà tempo e impegno, meglio di niente ma a piccoli passi, quasi una manciata di elefanti alla volta.

Gli arresti a Jilin sono stati portati a termine dalla Polizia Forestale dell’Ufficio Forestale Municipale di Hunchun (HMFB), uno dei membri del Law Enforcement Cooperation Framework (LECF) che la WCS ha fondato nel 2011. La WCS sta guidando in prima persona gli sforzi dell’intero pianeta con lo scopo di salvare gli elefanti africani, e mettere la parola fine alla crisi dovuta al bracconaggio e al traffico illegale d’avorio. Il lavoro dell’associazione coinvolge ora 11 nazioni africane e 7 paesi asiatici, in un comune impegno a fermare le uccisioni, il traffico di avorio ed eliminare la richiesta di questo pregiato materiale, che si paga con la moneta del sangue.

Globalmente la WCS vuole agire alla radice, in modo da fermare il processo all’inizio: dire basta alla richiesta d’avorio, sensibilizzando la popolazione e rendendo i cittadini consapevoli delle conseguenze immediate e a lungo termine della caccia di frodo, e che dietro a ogni ninnolo d’avorio per turisti si cela il cadavere di un elefante. L’approccio dell’associazione vuole veicolare materiali informativi principalmente tramite i social media, in modo da indirizzare l’opinione pubblica e accendere una conversazione consapevole sull’argomento, e allarmata quanto basta. È infatti necessario che venga chiaramente raccontato quello che per anni è avvenuto (e tutt’ora in parte avviene) in Africa: uno sterminio incontrollato di elefanti. Negli Stati Uniti la WCS mira a ottenere l’istituzione di una moratoria nazionale e statale sulle vendite di avorio, un procedimento che pare sia già a buon punto.

Con l’aiuto della WCS, HMFB ha condotto dei controlli che prendono il nome di SMART (Spatial Monitoring and Reporting Tool) e grandi campagne volte alla rimozione di tutte le trappole. Dal gennaio 2013, inoltre, ha provveduto all’installazione di un sistema di controllo tramite videocamere nelle aree rurali subito fuori dalla Riserva Naturale Nazionale Hunchun. Per rafforzare ulteriormente i piani di conservazione e minare le pratiche di bracconaggio, l’HMFB ha istituito una vera e propria sezione interna, la Wildlife Conservation Section, e in settembre ha lanciato la campagna 96 elefanti, per amplificare la voce del progetto e far diventare concreti i punti principali: assicurare la rigidità e l’efficacia delle leggi americane -e non solo- contro il bracconaggio, rinforzare la protezione degli animali in modo diretto (aumentando i fondi dedicati) ed educare il pubblico dal principio, sottolineando la sanguinosa connessione tra l’utilizzo d’avorio e lo sterminio degli elefanti.

In particolare nell’Africa centrale e orientale si è già passati ai fatti, e la WCS sta impedendo ogni tipo di attività di bracconaggio sui territori di 13 tra i più importanti parchi e riserve naturali. Si tratta di una sfida importante, perché i più noti di questi ospitano fino a 26.000 elefanti e sono ovviamente i più minacciati: da Nouabalé-Ndoki in Congo fino a Ruaha in Tanzania e Niassa in Mozambico, la WCS sta reclutando e addestrando guardie specializzate, fornendo loro assistenza in ogni modo possibile e rintracciando i loro spostamenti in tempo reale, in modo da poter osservare tutto ciò che avviene nelle zone d’interesse e tenere sotto controllo le aree più sensibili. Africa e Asia sono infatti il punto di partenza in quanto primo anello della catena, non solo per la quantità di animali che ospitano ma perché da lì parte il meccanismo di trasporto. Nei provvedimenti per evitare il bracconaggio sono comprese intense e rigide reti di controllo, concentrate presso i nodi principali di trasporto, dagli aeroporti fino ai piccoli confini, e monitorate in collaborazione con il governo. Vengono utilizzati anche cani appositamente addestrati, che percepiscono l’odore d’avorio e velocizzano i ritrovamenti.

Fonte: WCS

Crediti immagine: Muhammad Mahdi Karim, Wikimedia Commons

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".