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Il fu “Laboratorio dei veleni”

624px-D-W003_Warnung_vor_giftigen_Stoffen_ty.svgCRONACA – Otto imputati, pena massima 4 anni di reclusione, 16 le costituzioni di parte civile per i capi d’accusa: disastro ambientale colposo, omissione di atti d’ufficio e falso ideologico. A 10 anni dalla morte di Emanuele Patanè, questi sono i primi risultati legali: pena massima per il direttore amministrativo Antonio Danina e tre anni e otto mesi per l’ex dirigente dell’ufficio tecnico Lucio Mannino. Per gli altri 6 imputati tre anni e due mesi di reclusione.

A due anni dall’inizio delle udienze, un primo passo sembra fatto nella direzione della giustizia. Ma sarà sufficiente a compensare il profondo e drammatico significato che le morti di Emanuele, Agata, Maria Concetta, Giovanni e le altre vittime del “Laboratorio dei Veleni” di Catania (ne avevamo già parlato qui), hanno avuto per il nostro paese?

La pena massima richiesta è di 4 anni, con la richiesta di assoluzione per prescrizione dell’accusa di gestione di discarica non autorizzata. Fa male ricordare le parole con cui Emanuele annotava nel suo diario, morendo consapevolmente, lo stato di incuria del laboratorio e dei suoi operanti. Non è bastata la sua di morte, né quelle precedenti iniziate già negli anni ’80, ma sono state necessarie quelle del 2004 e del 2005 per far decidere di sequestrare definitivamente il laboratorio nell’aprile del 2008, quel laboratorio venefico dove ogni giorno a fine giornata “mal di testa, astenia e uno strano sapore al palato facevano pensare ad un’intossicazione”, diceva Emanuele. Nessuna misura di sicurezza, materiali radioattivi, reagenti, solventi abbandonati negli angoli del laboratorio, all’aria aperta; nessun protocollo di sicurezza per il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti tossici, sistema di areazione malfunzionante e finestre sigillate. Questo un accenno all’inferno chimico in cui per anni si sono avvicendati studenti, professori e operatori.

Nessun mistero, a parte l’odore nauseante, chiara denuncia dello stato malsano, moltissimi erano i segnali manifesti di comportamenti ad alto rischio. Nessuna indicazione su come smaltire i rifiuti, “Il materiale finiva dentro i lavandini, non c’erano nemmeno i guanti” ricorda Viviana Ardita, ex dipendente del laboratorio di farmacia, e le fa eco il collega Silvano di Salvo che ricorda come nella sua stanza i contenitori ossidati contenenti le sostanze che gli studenti utilizzavano nelle esercitazioni, venivano riposti in comuni armadietti.

Argomenti di pertinenza, di Franco Vittorio, all’epoca capo del dipartimento di scienze farmaceutiche, e degli altri docenti imputati che facevano parte di quella commissione di sicurezza (l’ente designato alla soluzione di problematiche segnalate) che aveva potere di scelta e di spesa, di cui si assumevano la responsabilità. Nel 2006 una richiesta definita “di massima urgenza” per lavori di ripristino all’Edificio 2, che ospita il laboratorio di farmacia, un’urgenza che viene posposta di un anno quando un frettoloso tentativo di ripristino, giustificato da infiltrazioni di umidità e muffa, si rivela insufficiente a risolvere il problema.

Comunicazioni mancanti, omissioni, slalom fra le normative ambientali e rimpalli di responsabilità hanno portato all’aggravarsi della situazione. Indagini di contaminazione del terreno dimostrano inevitabilmente la contaminazione e il ritrovamento di una benda incrostata di mercurio nell’impianto di areazione del laboratorio danno da pensare, laddove non ci fossero abbastanza dubbi.

“Vogliamo sapere come sono andate veramente le cose e se nostra figlia si è ammalata lavorando in quei laboratori” diceva la mamma di Agata Annino, morta a causa di un tumore cerebrale nel 2007, al termine di una delle precedenti udienze. La strada infatti è ancora lunga per definire la sentenza finale e i capi d’accusa. Il secondo procedimento, quello per cui molti vogliono risposta, quello di omicidio colposo plurimo per cui è già stata avanzata la richiesta di archiviazione dipenderà dell’esito delle prossime udienze del 21 e 28 febbraio.

Ventisei anni di reclusione in tutto sono stati chiesti per gli otto imputati, ne aveva 29 Emanuele quando è morto..

Crediti immagine: Torsten Henning, Wikimedia Commons

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Anna Sustersic
Mi occupo di comunicazione scientifica legata principalmente a temi di conservazione della natura e attualmente collaboro in Tanzania con PAMS Foundation sviluppando un progetto dedicato all’uso della comunicazione per la promozione della coesistenza fra uomo a fauna selvatica. Dopo il dottorato in Scienze ambientali, ho ho conseguito un master in comunicazione della scienza presso la SISSA di Trieste con una tesi sulla sensibilizzazione dei giovani alle tematiche scientifiche. Ho lavorato come educatore ambientale presso diverse aree protette. Successivamente mi sono interessata alla scrittura come mezzo per la divulgazione scientifica legata a temi naturalistici/conservazionistici. In quest’ambito sono stata collaboratrice e consulente presso musei scientifici, testate giornalistiche nazionali e internazionali, aree protette, case editrici scolastiche e Istituzioni trattando temi legati alla natura e alla sua tutela. Ho scritto diversi libri e guide per sensibilizzare e divulgare temi legati all’ambiente e la sua tutela: "L’anima Perduta delle Montagne" (Idea Montagna – 2019) e, con Filippo Zibordi, "Sulla Via dell’orso. Un racconto Trentino di uomini e natura" (Idea Montagna, 2016) e "Parco Adamello Brenta – Geopark" (PNAB – 2018).