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Minima (im)moralia, cont.

800px-ScientificReviewCRONACA – La settimana scorsa ne avevo grosso sulla patata: come si dice alla Sorbona, quasi mi veniva la depressione. A grandi mali grandi rimedi, ho scritto al vertice dell’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro. Scusi Presidente, ma all’AIRC li guardate i gel problematici segnalati su PubPeer?

Ho ricevuto non una, ma due risposte, dal Direttore scientifico e da Lisa Vozza, la biologa responsabile del Peer Review Office. Entrambe impegnate fin sopra i capelli, riunioni, la campagna delle arance appena terminata, e… Lisa Vozza mi ha telefonato l’indomani.

Conversazione lunga e illuminante. Mentre l’AIRC fa valutare le proposte da almeno tre esperti di livello internazionale prima di un eventuale finanziamento, per la valutazione dei risultati si basa sui dati pubblicati dalle riviste dopo il vaglio della loro peer-review. Questi due percorsi di valutazione, che sono rigorosamente indipendenti l’uno dall’altro, garantiscono due volte, a monte e a valle, che il progresso della ricerca sia reale e concreto.

Giusto. Ma allora, per quei gel “problematici” che cosa fa AIRC? Riassunto delle altre buone notizie.

Nessuno è infallibile. Ogni processo di peer-review, che sia effettuato da una charity o da una rivista, è opera di esseri umani che, seppure scelti per competenza e senza conflitti di interesse, possono sbagliare. Come pure i ricercatori possono commettere errori quando riportano i loro dati. Tutti sbagliamo (a chi lo dice, dott. Vozza!) per i motivi più diversi. Però prima dell’autunno scorso fra gli scienziati finanziati da AIRC non erano mai emersi casi di possibile “misconduct”, il termine inglese con cui si indicano possibili errori di gestione della ricerca. Attualmente c’è una vicenda giudiziaria in corso che riguarda il professor Fusco, sul cui merito l’AIRC attende l’esito dell’indagine. La vicenda, che – ripetiamo – è la prima che sia capitata all’Associazione, ha comunque indotto la Direzione scientifica dell’AIRC a pensare di dotarsi di una “misconduct policy”. Nella policy che è in gestazione, l’AIRC chiederà che gli enti di ricerca che ricevono fondi abbiano a loro volta un codice di buona condotta da utilizzare in casi di potenziale misconduct. L’AIRC infatti non può, né vuole sostituirsi al governo di centinaia di istituti di cui sostiene i progetti di ricerca oncologica, ma può scegliere di finanziare soltanto quelli che hanno provveduto a dotarsi di regole chiare in merito.

La policy sembra a buon punto: Lisa Vozza spera di poterla pubblicare sul sito dell’AIRC entro la primavera.

Lei non lo sa, ma ha tirato su il morale della redazione. Da un lato, a tutte noi capita di comprare arance e azalee, e ci rassicura che l’AIRC difenda i nostri investimenti. Dall’altro un grant dell’AIRC non è mica paglia, conosciamo ricercatori e ricercatrici (1) che faranno di tutto per convincere le istanze superiori a darsi una mossa e adottare il codice etico dell’Unione Europea.

Per ora lo ha fatto solo l’INFN, ma non si è dato procedure per applicarlo. D’altronde un neutrino superluminale o meno, diciamo la verità, non cambia più di tanto la nostra vita o quella della gente che amiamo, mentre un vaccino contro l’HPV o il tumore alla prostata…E poi una rondine come l’AIRC potrebbe smentire la teoria e fare primavera.

(1) Per un confronto con le dichiarazioni alla stampa del prof. Fusco, invito a leggere come ha reagito Roberto Mantovani – spesso finanziato dall’AIRC – quando PubPeer l’ha avvisato. Sintesi: grazie di avermelo detto, che cavolata! Sistemo subito. E così ha fatto.

Crediti immagine: Center for Scientific Review, Wikimedia Commons

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