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Alghe suicide: quello che la Disney non vi dice

585px-Chlamydomonas_(10000x)RICERCA – Il suicidio altruistico incuriosisce gli scienziati da sempre, specialmente quando a fronte della morte di un individuo non sono chiari i benefici che ne traggono gli altri. Non accade spesso che la situazione sia limpida come il “Fuggite, sciocchi!” di Gandalf, insomma.

Eppure a volte i ricercatori riescono a chiudere il cerchio. Smettete subito di pensare ai lemming (quella bufala targata Disney): parliamo invece di alghe unicellulari. Un nuovo studio ha infatti scoperto che gli individui suicidi di una determinata specie muoiono auto-digerendosi, e rilasciando così nell’ambiente sostanze nutritive che possono essere utilizzate dai loro conspecifici. Ma c’è di più: per altre specie, competitor con i quali si spartiscono l’habitat, questi nutrienti possono invece essere dannosi.

Il team, composto da ricercatori della Wits University e dell’Università dell’Arizona, ha pubblicato lo studio su Biology Letters, e spiega come il suicidio programmato di una particolare specie di alga, la Chlamydomonas reinhardtii, rilasci nell’acqua determinati nutrienti. Si tratta di sostanze che, se da una parte possono essere utilizzata dalle altre Chlamydomonas, dall’altra inibiscono la crescita di differenti specie algali. Pur avendo lavorato su un unico organismo modello gli scienziati pensano che questo meccanismo possa estendersi anche a molte altre specie di alghe. Come spiega Pierre Durand della Wits University, leader dello studio, “La morte può avere scopo altruistico, era già stato dimostrato, ma ora sappiamo che quel suicidio programmato beneficia solamente i conspecifici dell’organismo in questione, non chiunque”.

“Quando l’ambiente diventa ostile per tutti gli organismi, come nel caso delle fioriture algali che finiscono presto per esaurire i nutrienti nell’acqua, alcuni individui si sacrificano per il bene degli altri. In base ai nostri studi, sospettiamo che si tratti sempre di quelli più vecchi o maggiormente danneggiati”, commenta Durand. Secondo l’autore anche lo stress ambientale dovuto al cambiamento climatico gioca la sua parte. All’attuale ritmo di sfruttamento delle risorse, infatti, ben presto il pianeta potrebbe non essere più in grado di sostenere tutti. Sia che parliamo di esseri umani che di microbi, la Terra si sta facendo un luogo affollato, e questo influenza il modo in cui gli organismi rispondono ai cambiamenti.

Crediti immagine: Dartmouth Electron Microscope Facility, Dartmouth College, WIkimedia Commons

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".