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Di strisce di zebra e di urina

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WHAAAT? Il venerdì casual della scienza – Purtroppo non sono qui per darvi la risposta che tutti attendete, e risolvere l’arcano mistero: le zebre sono nere a strisce bianche o bianche a strisce nere? Ma un primo passo avanti in questa direzione l’abbiamo fatto comunque, o meglio l’ha fatto il team di Tim Caro all’Università della California Davis, scoprendo qual è ipotesi più concreta tra quelle che cercano di rispondere a un’altra domanda esistenziale: perché le zebre hanno le strisce? Come potete leggere su Nature Communication, pare che la risposta sia “per difenderle da mosche tse-tse e tafani”.

Certamente la teoria non è nuova, e Caro non è il primo a sostenerla, ma finora non aveva mai davvero scavalcato le altre spiegazioni, che prevedono vantaggi dal punto di vista della mimetizzazione, dell’interazione sociale e della dispersione del calore. Come hanno fatto i ricercatori a decidersi? Elaborando con modelli statistici tutte le variabili del caso, dalla distribuzione delle varie specie di equidi (cavalli, zebre e asini sia viventi che estinti) fino a quella degli insetti interessati, dai diversi habitat fino alla presenza di predatori.

Lo studio combinato dei dati, e delle aree geografiche in cui si sovrapponevano i vari fattori, ha portato gli scienziati a notare che gli equidi a strisce sono più diffusi proprio nelle aree in cui vivono anche mosche tse-tse e tafani. La perplessità, perché c’è sempre una perplessità, deriva dal fatto che i dati utilizzati nello studio provengono principalmente da collezioni museali e mappe storiche. Sostanzialmente nessun ricercatore si è recato sul posto per vedere se tafani&co evitano davvero le zebre, il che porta alcuni esperti a dubitare che si tratti davvero dell’unica ipotesi valida. In ogni caso solleva un’altra questione intrigante: perché mai un insetto dovrebbe temere le strisce? Speriamo di poter dedicare un altro WHAAT alle fobie tafaniche in futuro, quando qualcuno ci avrà dato una risposta.

E non è finita qui.

Siccome è da quando avete letto il titolo che vi chiedete cosa c’entri l’urina con le zebre, la risposta è “non c’entra niente”, ma oggi risolveremo un altro dei grandi dilemmi della vita di ogni essere umano: perché non si deve fare pipì in piscina (al di là delle ovvie ragioni igieniche, e della reazione poco entusiasta di chi nuota intorno a voi se dovesse sapere cosa state facendo). Siccome si tratta di ben più di una raccomandazione, e una delle occasioni preferite per parlarne sono le Olimpiadi, specialmente per gli atleti più chiacchieroni, la pratica andava approfondita e ci ha pensato il team di Lushi Lian. Se nel 2012 il medico dell’Italnuoto tranquillizzava infatti gli sportivi, dicendo che la pericolosità dell’urina è pari a zero in quanto sterile, lo studio pubblicato su Environmental Science & Technology racconta una storia molto diversa.

Quando l’urina viene a contatto con il cloro, infatti, entro un’ora si originano alcune sostanze che possono nuocere alla salute: parliamo di tricloroammina (tricloruro di azoto) e cloruro di cianogeno, l’una associata a problemi ai polmoni e l’altro anche a interferenze con cuore e sistema nervoso. Un po’ come quella paura delle strisce dei tafani e delle mosche tse-tse, anche in questo caso rimane un’incognita: i ricercatori non hanno ancora scoperto quale (o quali) delle componenti dell’urina sia responsabile della formazione di queste sostanze nocive.

La morale è: non fate pipì in piscina, e se andate a fare un safari in Africa indossate una maglietta a righe bianche e nere. Grandi.

Crediti immagine: Titus Hageman, Flickr

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".