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Quattro neutrini trasformisti, l’oscillazione dei mu in tau è realtà

gran-sasso2-700x437RICERCA – È come se si sparasse una raffica di proiettili con un fucile, ma sul bersaglio ogni tanto arrivasse qualche freccia. Questo è ciò che accade, su scala sub-atomica, ai neutrini lanciati dal Cern di Ginevra, in Svizzera, verso i rivelatori dell’esperimento Opera installato ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso. Vengono sparati dei neutrini di tipo mu, ma ai rivelatori sono giunti almeno quattro neutrini di tipo tau. Neutrini trasformisti, che cambiano identità mentre attraversano, in un paio di millisecondi, i 730 chilometri di roccia dalla Svizzera fino al centro Italia.

La notizia non è, di per sé, nuova, perché la prima trasformazione di un neutrino mu in tau era già stata osservata nel 2010. Questa volta, però, il fenomeno ha acquisito per i fisici una sufficiente rilevanza statistica per poter affermare che la trasformazione è reale. Ne abbiamo parlato per OggiScienza con Giovanni De Lellis, professore di fisica sperimentale all’Università Federico II di Napoli e a capo dell’esperimento Opera.

“Ora, con l’osservazione del quarto neutrino tau, abbiamo superato la famosa soglia statistica di quattro sigma, che tradotto in una probabilità corrisponde al 99,999% di confidenza che la transizione da mu a tau sia avvenuta davvero, e che non si tratti di qualche altro fenomeno fisico”. I quattro sigma, per intenderci, sono la stessa soglia che i fisici del Cern hanno atteso prima di dare l’annuncio ufficiale della scoperta del bosone di Higgs. “Anche se nell’opinione comune si tratta di probabilità molto alte”, continua De Lellis, “scientificamente si cerca di raggiungere quasi la certezza prima di annunciare un risultato, e comunque si cerca di massimizzare la probabilità e di portarla più vicina possibile al 100%”.

L’esperimento Opera fu ideato, progettato e costruito in Italia, con una collaborazione di 140 scienziati, di cui circa un terzo di nostri connazionali e un importante contributo di fisici giapponesi. I neutrini, per ciò che sappiamo oggi, esistono di tre differenti specie, o sapori: elettronico (e), muonico (mu) e tauonico (tau). Negli anni Novanta, un gruppo di scienziati giapponesi aveva osservato una mancanza di neutrini muonici e un numero di neutrini elettronici in linea con quanto atteso. Fu quindi formulata l’ipotesi che i neutrini muonici mancanti si fossero trasformati in tauonici: allora, però, non era possibile rivelare direttamente i neutrini di questo tipo. “Mentre i neutrini di tipo mu si riconoscono facilmente”, spiega De Lellis, “i neutrini di tipo tau sono molto difficili da osservare perché la particella che ci permette di identificarli vive per un tempo brevissimo, meno di un milionesimo di milionesimo di secondo. I rivelatori dell’esperimento Opera sono stati progettati con emulsioni nucleari in grado di rivelare queste particelle che percorrono traiettorie cortissime prima di decadere. Il neutrino tau, infatti, produce il leptone tau, che in brevissimo tempo si disintegra a sua volta producendo un muone, la stessa particella che normalmente deriva dall’interazione con la materia del neutrino di tipo mu. Se il nostro apparato non è in grado di osservare particelle a vita breve come quella del tau, vediamo solo muoni e non possiamo sapere se derivano da neutrini mu o tau. Ecco perché i neutrini tau hanno richiesto un esperimento costruito ad hoc”.

Ma in che modo cambia la fisica ammettendo l’esistenza dei neutrini trasformisti? “L’esistenza delle oscillazioni di neutrino comporta che i neutrini stessi abbiano una massa. Una massa molto piccola, ma non nulla, e soprattutto con un valore diverso tra un tipo di neutrino e l’altro. Questo richiede un’estensione del modello standard, perché da solo non spiega né perché i neutrini abbiano una massa e nemmeno come mai sia questa così tanto più piccola rispetto alle altre particelle, almeno un milione di volte inferiore a quella dell’elettrone che è la particella più leggera conosciuta a parte i neutrini. Rimane però ancora aperta anche un’altra questione tecnica di fondo sui neutrini, ossia se si tratti di particelle di Dirac o di Majorana, cioè se neutrini e antineutrini siano le antiparticelle l’uno dell’altro o se si tratti di due stati diversi di una stessa particella”.

Ma se ora la trasformazione del neutrino è scientificamente dimostrata, cosa ne sarà dell’esperimento Opera? “La fase di raccolta dati dell’esperimento si è conclusa in realtà alla fine del 2012”, racconta De Lellis, “con gli ultimi neutrini provenienti dall’acceleratore del Cern di Ginevra. Al momento rimangono da analizzare ancora un po’ più del 20% dei dati raccolti. Intendiamo analizzare tutte le informazioni disponibili per portare la probabilità ancora più in alto e confermare definitivamente il processo. In fondo la nostra ricerca è un po’ come voler trovare un ago in un pagliaio: finora in poco meno dell’80% del pagliaio abbiamo trovato quattro aghi, ma potrebbero essercene altri”.

L’esperimento Opera, tra l’altro, non è affatto spento. Non solo l’analisi dei dati richiede che si intervenga ancora sul sistema elettronico, ma il rivelatore stesso è in realtà ancora acceso, perché analizza i raggi cosmici che producono muoni ad altissima energia in grado di penetrare un chilometro di roccia del Gran Sasso e di arrivare fino alla galleria dove è installato l’esperimento. I raggi cosmici così energetici sono difficili da studiare con altre tecniche, quindi il contributo di Opera continua a essere importante per la fisica delle alte energie.

Il gruppo di De Lellis, però, pensa già al dopo Opera. “C’è in cantiere la progettazione di un apparato sperimentale da installare al Cern che cerchi un particolare tipo di particelle, finora mai osservate, che si chiamano leptoni neutri pesanti. Questi sarebbero un particolare tipo di neutrino, con una massa molto maggiore degli altri e con la particolarità di non interagire affatto con la materia. Infatti non potremmo osservare direttamente questi neutrini, ma solo i prodotti del loro decadimento”. La domanda a cui si tenterà di rispondere è molto ambiziosa: perché siamo fatti di materia e non di antimateria? Da cosa deriva l’asimmetria materia-antimateria che oggi sappiamo esistere nell’Universo nonostante, in origine, materia e antimateria fossero perfettamente simmetriche? O, ancora, come possiamo spiegare l’esistenza della materia oscura?

 

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Crediti immagini: Opera, Laboratori Nazionali del Gran Sasso

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Gianluca Dotti
Giornalista scientifico freelance. Sui social sono @undotti