IN EVIDENZASPECIALI

Smart cities: dalla teoria alla pratica

12686296035_ff1c332762_zSPECIALE APRILE – «Se uno sogna da solo, è solo un sogno. Se in tanti sognano insieme, è l’inizio di una nuova realtà».
Come abbiamo detto nell’articolo precedente, l’Europa ha sogni sulle città del futuro, ma non ha impedito alle singole città di sognare:  ogni angolo del territorio e ogni cittadino può inventare un nuovo modo di declinare la parola “smart-city”.

I pilastri della futura urbanizzazione poggiano sull’uso intelligente dell’energia all’interno delle città, nelle nostre abitazioni e nei trasporti, attraverso il sostegno fornito dalle nuove tecnologie.  Se dei trasporti eco-sostenibili abbiamo già parlato nella rubrica “speciali” di febbraio, non resta che guardare alle soluzioni più smart pensate per abitazioni o interi quartieri.

L’Europa e l’abitare

L’Europa ha accettato la sfida “20-20-20”, che si basa  sulla riduzione del 20% dei gas serra partendo dai livelli del 1990; sull’aumento del 20% della produzione di energia proveniente da fonti rinnovabili e infine su un miglioramento del 20% nell’efficienza energetica.

Mentre in città si concentra il consumo energetico e la forte produzione di gas serra, come declinare la regola “20-20-20” alle realtà urbane? Un capitolo di spesa importante sono le nostre case:  il 40% dell’Energia consumata in tutto il Vecchio Continente se ne va tra le mura domestiche,  mentre i gas serra prodotti sono il 36%.

Per rispondere a questo problema, nel 2010 è stata emessa la Direttiva 2010/31/EU sulla performance energetica degli edifici. È così che il numero fortunato per le nuove costruzioni è diventato lo zero. L’Europa punta alla costruzione di edifici il cui bilancio energetico sia pari a zero, così come le emissioni di anidride carbonica.
Per l’energia la soluzione proposta è quella di dotare le abitazioni di sistemi per la produzione di energia da fonti rinnovabili. Secondo il Rapporto sugli edifici a energia zero del 2013 però, solo 4 stati comunitari (Belgio, Cipro, Danimarca e Lituania) sono pronti ad affrontare questa impresa, perché hanno stabilito il limite di consumo energetico per le abitazioni di nuova costruzione, indicando un valore numerico.  Inoltre questi paesi hanno sviluppato a sufficienza le proprie fonti rinnovabili.
Un’idea è stata formulata anche per gli edifici vecchi:  il segreto sta nella ristrutturazione con materiali isolanti e nuove tecnologie capaci di aumentarne l’efficienza.

Via libera dunque alle soluzioni fantasiose per trovare una risposta alle richieste europee. Chi saprà integrare nuove tecnologie e design, costi di poco superiori rispetto alle abitazioni tradizionali (non più del 5%) ed efficiacia, passerà il test. L’iniziativa europea per le smart cities infatti prevede di testare 100 soluzioni abitative e 100 edifici destinati ad altro scopo, per trovare le ricette più adatte a soddisfare tutti questi bisogni. E le ricette potranno essere molteplici, visto che dovranno adattarsi alle diverse condizioni climatiche presenti sul territorio europeo.
Secondo lo stesso principio, l’iniziativa per le Smart Cities vaglierà 5-10 progetti per rinnovare e ristrutturare il 50% degli edifici pubblici e il 50% degli edifici già costruiti.

Le pietre miliari

Alcune buone pratiche da cui prendere ispirazione per la costruzione di abitazione a impatto zero esistono già. Sul sito Build-Up, una vera e propria vetrina delle case di utlima generazione, ci sono 134 soluzioni diverse. La maggior parte delle soluzioni provengono dalla Germania (29) e dalla Francia (17).

Ma cosa prevedono le pratiche migliori? Una soluzione è la casa di poliuretano di Bruxelles. L’unica regola seguita è quella di usare poliuretano dovunque sia possibile, con il risultato di avere una casa perfettamente isolata, che riesce a rispondere ai propri bisogni energetici a partire dall’energia prodotta in loco. Il materiale sottile e poco costoso non altera il normale design di una casa.

A Dornbirn in Austria sono bastati 8 giorni per costruire la Lifecycle Tower One. Il segreto sono i moduli in legno, isolanti, riutilizzabili, già progettati in modo da lasciare poco spazio agli errori in fase di costruzione. L’efficienza energetica e i consumi controllati portano alla riduzione del 90% di emissioni di CO2, oltre a una riduzione del 39% delle risorse necessarie all’edificio.

Barcellona  si è distinta invece per il Can Sant Joan Business Park, perché ha posto la massima attenzione nell’integrazione tra edifici e ambiente. Gli edifici coprono solo il 24% del territorio disponibile per la costruzione, sono orientati in modo da trarre i migliori benefici dal ciclo luce/ombra  e sono fatti soprattutto di vetro (2 mq su 3) per sfruttare appieno la luce del giorno e per godere del paesaggio.

In Germania non mancano le soluzioni per gli edifici già esistenti: nell’ospedale BG Klinik Ludwigshafen sono bastati i calcoli dei consumi del sistema di ventilazione per ottimizzare l’impianto. Al momento l’ospedale ha consumato l’8% di energia in meno, con un risparmio previsto  di 170.000 euro/annui.

Le soluzioni italiane

Secondo il Piano nazionale per gli edifici a energia “quasi-zero” del 2013, in Italia ci sono 13.6 milioni di fabbricati e l’87% sono destinati a uso residenziale.
La Direttiva europea relativa agli edifici a energia “quasi-zero” trova in Italia la sua declinazione nella legge n. 90 del  2013. Già dal 2014 è scattato l’obbligo di riqualificare il 3% del patrimonio pubblico, e questo impegno dovrà essere mantenuto ogni anno. Per gli edifici privati di nuova costruzione il decreto prevede che andare al 2017, almeno il 50% dell’energia consumata per riscaldamento, raffreddamento e produzione di acqua calda sia ottenuta a partire da fonti rinnovabili.

 Crediti immagine: Tregoning, Flickr

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Giulia Annovi
Mi occupo di scienza e innovazione, con un occhio speciale ai dati, al mondo della ricerca e all'uso dei social media in ambito accademico e sanitario. Sono interessata alla salute, all'ambiente e, nel mondo microscopico, alle proteine.