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Resistenza agli antibiotici: un problema reale

7808465302_c3b85c86c4_zSALUTE – Batteri sempre più resistenti agli antibiotici in commercio e quasi nessuna nuova soluzione in vista. Questo mix di fattori, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, potrebbe farci scivolare velocemente nell’era post- antibiotica, nella quale infezioni comuni, trattate con successo per decenni, potrebbero tornare ad essere molto insidiose. Sono questi i risultati, non molto incoraggianti, del primo rapporto mondiale sull’antibiotico-resistenza redatto dall’OMS che, senza mezzi termini, avverte: “la resistenza agli antibiotici è un problema serio e non più una predizione per il futuro. Sta succedendo adesso in ogni regione del mondo e può potenzialmente interessare tutti, di ogni età e di ogni nazione”.

I risultati dello studio

Il rapporto dell’OMS presenta i dati sulla resistenza agli antibiotici provenienti da 114 diversi paesi e si concentra soprattutto su alcuni batteri molto comuni ma causa di malattie potenzialmente pericolose come sepsi, diarrea, polmonite, infezioni del tratto urinario e gonorrea. I carbapenemi di terza generazione, ad esempio, che rappresentano l’ultima spiaggia nella lotta contro Klebsiella pneumoniae, non funzionano in più della metà delle persone colpite dal batterio che causa, tra le altre cose, sepsi e polmoniti. Non è diverso lo scenario per Escherichia coli, responsabile di infezioni alle vie urinarie trattate spesso con fluorochinoloni. Negli anni ’80, quando questa classe di antibiotici è stata introdotta nel mercato, la sua efficacia era pari al 100%. Ora si è abbassata di oltre la metà. Lo stesso scenario si ripete per le infezioni da Neisseria gonorrhoea, circa un milione al giorno in tutto il mondo. Le cefalosporine di terza generazione hanno fatto dei buchi nell’acqua in diversi paesi europei.

La resistenza agli antibiotici tra scienza ed economia

L’introduzione della penicillina nelle pratiche cliniche a partire dal 1945, e a seguire degli altri antibiotici, ha letteralmente rivoluzionato la salute pubblica, rendendo curabili malattie ed infezioni ritenute prima letali. Il trentennio ’50-’80 ha rappresentato la vera età dell’oro per lo sviluppo di questa classe di farmaci: solo negli anni ’80 la FDA americana ha dato l’ok a 30 nuovi antibiotici.

Oggi, invece, a causa della progressiva perdita di interesse verso lo sviluppo di nuove classi di antibiotici, lo sviluppo di nuove resistenze sembra essere di gran lunga più veloce dello sviluppo di nuove soluzioni. Le ragioni dell’abbandono di questo ramo di ricerca e sviluppo da parte delle industrie farmaceutiche è, secondo il Wall Street Journal, molto semplice: si tratta di una ricerca troppo costosa, poco redditizia e che deve fronteggiare eccessive barriere regolatorie. La conseguenza è stata un blocco quasi totale nello sviluppo di nuovi antibiotici.

Non si sono però fermate le strategie di resistenza messe in atto dai batteri. Si tratta di meccanismi di adattamento che i microrganismi mettono in atto dopo ripetute esposizioni all’antibiotico e che permette loro di modificarsi al punto tale da poter sopravvivere al farmaco. Ridurre la permeabilità della loro membrana o attivare un sistema di “pompe” che rimanda le molecole attive fuori dal batterio sono solo alcuni esempi dei meccanismi di resistenza di cui stiamo parlando.

La situazione in Italia

Lo studio più recente condotto sull’antibiotico-resistenza in Italia risale al novembre 2010. Si tratta di un rapporto riguardante il triennio 2006-2008 pubblicato dall’Istituto superiore di sanità. Il quadro che ne emerge è eterogeneo. Le resistenze ad alcune famiglie di antibiotici risultano diminuite, mentre alcune, come ad esempio quelle verso i fluorochinoloni e le aminopenicilline sono aumentate. L’Italia si presenta, in generale, divisa in due. I livelli di resistenza sono più alti al centro e al sud, dato in relazione con il maggior consumo di antibiotici in queste aree.

Dati più recenti sono contenuti nel “Antimicrobial resistance surveillance in Europe 2012”, pubblicato dallo European Center for Disease and Control (Ecdc). Secondo lo studio l’Italia ha, insieme alla Grecia, i livelli più alti di antibiotico-resistenza in Europa nella maggior parte dei patogeni controllati. Un esempio emblematico è l’alta resistenza ai carbapenemi in Klebsiella pneumoniae, intorno al 29% degli isolati in Italia e Grecia, ma al di sotto dell’1% nel resto d’Europa.

Le strategie più semplici da attuare

I fenomeni di resistenza agli antibiotici di cui abbiamo parlato sono causati dall’abuso e dall’uso scorretto di questi farmaci. Per questo l’Ecdc in Europa e l’Istituto superiore di Sanità in Italia hanno messo in atto campagne di sensibilizzazione per informare sulle conseguenze di un uso scorretto di questi farmaci. In occasione della Giornata europea sull’uso consapevole degli antibiotici 2013 l’Ecdc ha lanciato questo video il cui messaggio è molto chiaro: “Cold? Flu? Take care, not antibiotics!”. Le raccomandazioni dell’OMS sono sulla stessa linea. Innanzitutto, prevenire le infezioni seguendo le campagne di vaccinazione e migliorando le condizioni igieniche di luoghi pubblici e ospedali, soprattutto in alcune regioni del mondo. E, ultime ma non meno importanti, le raccomandazioni da seguire nella vita di tutti i giorni: usare gli antibiotici solo se prescritti da un medico, portare a termine la cura anche quando si inizia a sentirsi meglio e non usare antibiotici avanzati o prestati da altri.

Crediti immagine: Iqbal Osman, Flickr

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