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Le azioni intrapprese per contrastare il traffico di organi

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SPECIALE MAGGIO – Il modo migliore per combattere un’organizzazione criminale capace di coprire diversi continenti è quella di intrapprendere un’azione globale. Il WHO è stato il primo organismo internazionale che ha dichiarato illecito il commercio di organi umani, in quanto irrispettoso dei diritti dell’umanità. Era il 1987 e ancora non si avvertiva così tanto la carenza di organi. La dichiarzione della WHO fu un successo e venne sostenuta idealmente da tutti i paesi.

Le prospettive cambiarono negli anni ’90, quando la pratica dei trapianti è diventata più diffusa, e la carenza di organi ha messo in evidenza la possilità di profitto. Ora nella classifica delle attività illegali il commercio di organi si colloca al decimo posto, ed è destinato alla crescita dato che la globalizzazione, le nuove tecnologie e trasporti più rapidi favoriscono il fenomeno.

Per bloccare il commercio di organi, ogni paese dovrebbe raggiungere l’autosufficienza oppure si dovrebbe creare una rete tra diverse nazioni, garantendo la standardizzazione e la trasparenza negli scambi. Nel 2008, la Transplantation Society e l’International Society of Nephrology hanno organizzato un vertice a Istanbul, proprio con la finalità di fare incontrare i diversi stati per trovare una soluzione alla tratta degli organi. Oltre 150 rappresentanti di organizzazioni scientifiche e mediche provenienti da tutto il mondo, funzionari governativi, sociologi, e studiosi di etica si sono riuniti per scrivere la Dichiarazione di Istanbul.

La Dichiarazione proibisce il commercio, il traffico illegale di organi e il turismo legato ai trapianti, mentre sostiene le pratiche sicure e la tutela dei donatori. Per raggiungere tali scopi, il meeting ha invitato i governi nazionali alla formulazione di leggi per la tutela dei donatori e per limitare il traffico di organi.
Una proposta pratica scaturita dal vertice è quella di ridurre al minimo l’uso di donatori viventi: l’autonomia nazionale nella donazione degli organi si può raggiungere solo se si diffonde la cultura della donazione post-mortem. Nella Dichiarazione c’è un invito a creare  programmi educativi utili per superare  ostacoli incomprensioni e diffidenza. Altri punti della dichiarazione riflettevano sulla necessità di un  sostegno economico, psicologico e sanitario da parte dello stato, tanto del ricevente quanto del donatore vivente.

Dopo due anni dal vertice di Istanbul, la WHO ha stilato a sua volta 11 principi per suggerire il giusto comportamento nei confronti del tarpianto di organi e cellule. Mentre la Dichiarazione è soprattutto una riflessione per la società e per i professionisti coinvolti nella tratta degli organi, il documento della WHO ha calcato la mano sull’intervento dei governi.

È servito a qualcosa, ma c’è ancora da fare

A quattro anni dalla stesura della Dichiarazione sono iniziate le verifiche e alcuni, sebbene scorgano miglioramenti, sostengono che i principi di Istanbul e della WHO creino solo una legislazione proibizionista senza distinguere pienamente la portata del crimine.
Ma il riconoscimento globale del fatto che la tratta degli organi sia un atto inaccetabile è già stato di aiuto per alcuni paesi, in cui il fenomeno era radicato in un modo particolare. Nelle Filippine la legge che vieta a un vivente di donare organi a uno straniero, è stato un deterrente per il turismo dei trapianti. In Colombia, il governo ha destinato gli organi di donatori deceduti prima alle persone bisognose di nazionalità columbiana e poi agli stranieri. Pakistan, India, Egitto e Russia hanno elaborato le loro prime leggi contro il traffico degli organi.

Anche i paesi riceventi hanno fatto miglioramenti in seguito alla Dichiarazione. In Israele, le assicurazioni sanitarie non possono più rimborsare viaggi all’estero per motivi di salute; in Qatar e in Giappone  hanno fatto una forte azione di promozione della donazione per evitare che i malati fossero costretti ad  espatriare per ottenere un organo. La Malesia ha escluso dalla lista dei  farmaci mutuabili gli immunosoppressori, le medicine che impediscono il rigetto degli organi trapiantati, qualora una persona abbia effettuato un trapianto all’estero. Il provvedimento si è reso necessario dato che il 60% dei malesi trapiantati ha effettuato l’operazione in Cina.

In Cina invece, sebbene sia cresciuta la consapevolezza, la Dichiarazione non è stata sufficiente per estirpare la pratica di sottrarre organi alle persone condannate a morte per poi rivenderli.

L’Italia e la sensibilità verso la donazione degli organi

Anche il governo italiano ha creato un regolamento in materia di donazione degli organi, già a partire dal 1999 con la legge n.91 aggiornata poi nel 2008, e gli strumenti per favorire la donazione al momento del decesso non mancano.
Gli italiani possono dichiarare la propria volontà in materia di donazione degli organi a partire dalla fine del 2000, e quattro sono le modalità tramite cui è possibile farlo:

  • la compilazione del tesserino blu (PDF) del Ministero della Salute;
  • una dichiarazione scritta su un comune foglio bianco che riporti generalità e la propria volontà;
  • l’atto olografo dell’Associazione Italiana per la Donazione di Organi, Tessuti e Cellule (A.I.D.O.)
  • la registrazione della volontà presso gli appositi sportelli delle Aziende Sanitarie Locali
  • Da aprile 2011 anche presso i comuni nel momento del rinnovo della carta di identità. La raccolta è già iniziata a Terni e Perugia, per poi estendersi a Cesena (inizio 2012), a 8 comuni delle Marche (fine 2012), a Settimo Torinese (febbraio 2014) e a breve sarà  possibile in  tutti i comuni dell’Umbria. Altri comuni, tra cui Roma, sono in lista per aderire al progetto.

La sensibilizzazione e la moltiplicazione delle forme tramite cui è possibile rilasciare questa dichiarazione dovrebbe diffondere sempre più la possibilità di donare gli organi al momento del decesso.  Secondo il dato del Sistema Informativo Trapianti del Ministero della Salute, sono  1.400.000 i cittadini che hanno riflettuto sulla donazione degli organi e hanno dichiarato la loro volontà tra il 2000 e il 2014, cioè solo il 2.3% della popolazione. Forse lo scarso numero deriva dal fatto che la maggior parte dei dichiaranti ( 98.9%) sono quelli che nella donazione ci credono e hanno voluto mettere nero su bianco la propria volontà a cedere i propri organi.

Prendere una decisione riguardo a questa azione importante non è solo un atto di solidarietà: è un modo per far rispettare le proprie volontà e per sollevare i propri familiari da una decisione difficile.

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 Crediti immagine: Tiiu Sild, Wikimedia Commons

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Giulia Annovi
Mi occupo di scienza e innovazione, con un occhio speciale ai dati, al mondo della ricerca e all'uso dei social media in ambito accademico e sanitario. Sono interessata alla salute, all'ambiente e, nel mondo microscopico, alle proteine.