ricerca

Neonicotinoidi: a rischio non solo le api

5923065558_b8f681f328_b

AMBIENTE – È stato pubblicato il primo dei sette capitoli del Worldwide Integrated Assessment of the Impact of Systemic Pesticides on Biodiversity and Ecosystem (WIA), un lavoro di meta-analisi di oltre 800 pubblicazioni scientifiche che si è posto l’obiettivo di monitorare l’impatto dei pesticidi sistemici negli ecosistemi e nella biodiversità.

Gli indagati principali? I neonicotinoidi (non è una sorpresa), pesticidi dei quali OggiScienza si è già occupata in passato. La parte lesa? L’analisi non ha trascurato nessuno, analizzando gli effetti sulle specie note come più vulnerabili, api e farfalle in testa, fino ad arrivare agli effetti indiretti sui vertebrati. La prima parte, pubblicata su Environmental Science and Pollution Research, prende in esame proprio questi ultimi.

Si tratta del lavoro di analisi più completo disponibile al momento, che ha impegnato un gruppo di 29 scienziati, tutti appartenenti alla Task Force on Systemic Pesticides, per oltre quattro anni. Tutti i sette capitoli che comporranno il lavoro completo (qui l’elenco) saranno pubblicati in open access, in modo da poter essere esaminati da chiunque. I risultati che emergono da questo enorme lavoro di revisione della letteratura lasciano spazio a pochi dubbi: i neonicotinoidi sono dannosi per api e altre specie di invertebrati. I loro effetti, inoltre, si fanno sentire sui vertebrati terrestri, primi fra tutti gli uccelli, e sulla fauna acquatica. Sono, in poche parole, un rischio per gli ecosistemi.

La tormentata storia dei neonicotinoidi

I neonicotinoidi, introdotti come alternativa sicura al DDT, sono una classe di insetticidi, fortemente neurotossici, derivanti dalla nicotina. Possono essere spruzzati sulle foglie, messi nel suolo in forma granulare o usati per trattare i semi. Hanno preso piede così rapidamente da coprire, nel 2011, il 40% del mercato globale. Peccato che si siano presto rivelati altamente tossici le per api.

L’Italia è stata il primo paese a sospenderne l’impiego nel 2008 con divieti temporanei, rinnovati poi a ogni scadenza. Il problema è giunto successivamente in Commissione Europea, la quale, tra contestazioni e tormentati dibattiti, ha chiesto all’EFSA, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, di esprimersi sui rischi connessi all’impiego di tre particolari neonicotinoidi: clothianidina, imidacloprid e tiamethoxam. Nel gennaio del 2013 l’EFSA pubblica le proprie considerazioni. I pesticidi in esame provocano effetti acuti e cronici sulla sopravvivenza e sullo sviluppo delle colonie di api. A maggio 2013, finalmente, anche la Commissione Europea si pronuncia, vietando l’utilizzo per due anni di clothianidin, thiamethoxam e imidacloprid sulle colture che attraggono le api, tra le proteste di chi considera il decreto troppo permissivo e di chi invece voleva una decisione diversa. Pochi mesi dopo, viene vietato l’uso anche del fipronil, altro insetticida con lo stesso effetto sistemico.

La faccenda, neanche a dirlo, è tutt’altro che chiusa. Syngenta, produttore mondiale di prodotti fitosanitari, ha chiesto pochi giorni fa una deroga del divieto alle autorità britanniche (che nel momento in cui scriviamo non si sono ancora pronunciate) per proteggere le coltivazioni dagli attacchi di afidi di metà agosto.

Intanto, la Bayer lancia Sonido, un nuovo prodotto a base di neonicotinidi (più precisamente di thiacloprid) approvato in Olanda, Francia e Italia. D’altronde, il thiacloprid non era nell’elenco delle sostanze bandite dalla UE.

Intanto, anche nel continente americano, con qualche anno di ritardo, il problema è giunto agli alti vertici e se ne inizia a parlare anche alla Casa Bianca.

I neonicotinoidi sono un rischio per la biodiversità

Mentre le autorità competenti cercano di regolamentare l’uso dei neonicotinoidi tra molti dubbi, gli scienziati sono sicuri. I risultati della meta-analisi appena conclusa sono molti chiari. Le specie animali in assoluto più vulnerabili all’utilizzo di questi prodotti sono gli invertebrati terrestri, come ad esempio i vermi, esposti ai pesticidi tramite il terreno, l’acqua superficiale, l’aria o direttamente attraverso le piante. Subito a seguire ci sono gli inetti impollinatori, come api e farfalle, esposti ad altissimi livelli di contaminazione attraverso il polline e l’aria. Il terzo posto viene occupato dagli invertebrati acquatici, anch’essi molto sensibili. La solubilità in acqua dei neonicotinoidi, infatti, fa in modo che possano contaminare acque superficiali e falde acquifere, andando a modificare l’alimentazione, la mobilità e la capacità riproduttiva dei piccoli invertebrati acquatici, come il plancton.

Anche alcuni vertebrati, nonostante siano meno sensibili, risentono degli effetti diretti o indiretti dell’uso dei neonicotinoidi. Alcune specie di piccoli uccelli, come i passeri, possono mangiare semi trattati e andare incontro ad un aumento di mortalità e a un ridotto tasso riproduttivo. I rettili, d’altra parte, devono far fronte a una carenza di cibo (vermi e insetti). Pesci e anfibi sono invece risultati sensibili ad alti livelli di pesticidi o esposizioni prolungate.

Questa analisi, dicono gli studiosi, presenta anche alcuni limiti, dati soprattutto dalla mancanza di studi esaustivi sulla effettiva concentrazione ambientale dei neonicotinoidi e sulla loro tossicità in molte specie animali. I dati disponibili, tuttavia, sono sufficienti alla task force di esperti per suggerire “fortemente” alle autorità regolatorie di iniziare ad elaborare dei piani per una drastica riduzione globale dell’uso di queste sostanze.

Crediti immagine: Universal Pops, Flickr

Condividi su