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Se la competizione tra specie fa più danni (immediati) del cambiamento climatico

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AMBIENTE – Che si tratti di plasticità fenotipica o evoluzione genetica, esistono specie sul nostro pianeta che ce la stanno mettendo tutta per reagire, in qualche modo, alla minaccia del cambiamento climatico. Per altre la situazione è più complessa, e aggravata dalla competizione per le risorse trofiche che devono affrontare sul territorio. Spesso con specie di recente arrivo. Questa problematica è emersa osservando una realtà a noi molto vicina: lo stato di conservazione dei camosci alpini, la specie Rupicapra rupicapra, sulla catena montuosa delle Alpi durante l’estate.

Si tratta di ungulati che, in caso di temperature troppo elevate (o semplicemente nelle ore più calde della giornata), tendono a spingersi in alta quota. Come hanno notato i ricercatori, questo fenomeno è ancora più evidente nel caso siano presenti delle pecore sugli stessi terreni di pascolo. Si tratta di una competizione che sembra avere sui camosci un effetto immediato più grave di quelli che potrebbe portare con sé il cambiamento climatico in futuro, spingendoli a salire anche di 100 metri in più rispetto alle quote cui arrivano normalmente.

Il team di ricercatori della Durham University ha pubblicato questa scoperta sulla rivista Global Change Biodiversity. Come spiega Stephen Willis, leader della ricerca, “con l’aumento delle temperature a livello globale, molti animali si spingono a latitudini più alte, dove fa più fresco. Lo stesso fanno molti mammiferi negli ambienti montani, rispondendo alle modifiche della temperatura durante la giornata”. La presenza di greggi di pecore, che competono con i camosci per il cibo, disturba le normali attività quotidiane di questi ultimi, forzandoli a spostarsi ancora più in alto. Come se il cambiamento climatico non fosse una minaccia sufficiente, molti animali si trovano così a dover affrontare la presenza di nuove specie che si espandono nel loro habitat, spesso anche a causa di una cattiva gestione del bestiame che pascola senza il dovuto controllo.

Nel caso specifico del camoscio alpino, una possibile soluzione secondo gli esperti è impedire che le pecore si spingano a determinate altitudini. “Spesso pensiamo al cambiamento climatico come la principale determinante del luogo in cui vivono gli animali”, commenta Philip Stephens, uno degli autori della ricerca. “Questo studio, tutavia, mostra che gli effetti dell’interazione tra le specie potrebbero essere anche più importanti”. Se non altro nell’immediato. Certamente anche di fronte a questo ostacolo molte specie sono in grado di adattarsi (gli stessi camosci, a volte, cercano un riparo al fresco piuttosto che spingersi più in alta quota), ma per un quadro completo dovremmo scoprire quanto è costoso, in termini di risorse, modificare i propri comportamenti e abitudini così rapidamente.

Crediti immagine: Fulvio’s photo, Flickr

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".