SALUTE

Neurocosmesi, tra prestazioni e depressione

Thomas Schultz - Opera propria_wikipedia

SALUTE – Se si entra in libreria e si cerca un testo su come migliorare se stessi e le proprie prestazioni, l’elenco che ci si presenta davanti è quasi imbarazzante. Filosofi, psicologi, medici, motivatori o semplici entusiasti. C’è chi però preferisce recarsi in una ferramenta per comprare fili e pannelli e realizzare in casa degli elettrostimolatori per garantirsi migliori rendimenti, come una maggiore memoria o addirittura una simpatia più contagiosa. Si chiama neurocosmesi ed è un insieme di tecniche elaborate nell’arco degli ultimi 15 anni con l’intento di migliorare le prestazioni cognitive di soggetti sani non dunque in individui con deficit neurologico.

Il tema, come si può immaginare, è assai delicato dal punto di vista medico, tecnologico, ma soprattutto etico, ed è stato oggetto di un recente meeting romano, in cui sono stati discussi i più recenti risultati scientifici derivanti dall’implementazione della neurocosmesi non solo in individui sani che semplicemente desiderano migliorare le proprie prestazioni, ma anche in persone affette da depressione o morbo di Parkinson.

La tecnica in realtà è molto semplice – spiega Alberto Priori, docente di neurologia dell’Università di Milano – e fa uso di campi elettrici costanti a bassa intensità diffusi attraverso due elettrodi, una metodologia non molto distante dalle vecchie terapie con correnti galvaniche. I campi elettrici che vengono prodotti modulano l’attività del cervello migliorandone le prestazioni”. La tecnica prende il nome di stimolazione transcranica in corrente diretta (tDCS) e si divide in tDCS “classica”, che prevede cioè la stimolazione del cervello, e la tDCS “cerebellare” che si basa invece sulla stimolazione del cervelletto. Proprio quest’ultima è un’invenzione italiana, a cui Priori lavora da anni, prima con un team romano e ora da qualche anno presso l’Università di Milano.

La novità rispetto agli ultimi anni è che ora si sta cominciando a utilizzare questa tecnica di elettrostimolazione non solo in individui sani, ma come trattamento per diverse patologie, anche se è necessario precisare che queste ricerche sono ancora in fase sperimentale e soprattutto preliminare.” spiega Priori. “Per questa ragione è bene fare dei distinguo tra quella che è l’elettrostimolazione su persone sane, che è oggi parecchio diffusa e non manca di sollevare perplessità come per esempio la questione del doping o del miglioramento delle prestazioni nei videogiochi, e la sua funzione terapeutica che è invece in fase di studio.”

In questo senso – prosegue Priori – uno dei contesti in cui la tDCS sembra dare i risultati migliori è la cosiddetta “depressione maggiore”, in situazioni cioè in cui il trattamento farmacologico non dà alcun effetto. “L’approccio a cui si fa riferimento qui è ovviamente quello psichiatrico” precisa Priori – ovvero il trattamento della depressione, ma anche delle psicosi, dal punto di vista medico, non psicologico.” Per quanto riguarda invece la stimolazione del cervelletto, i dati preliminari presentati al recente convegno a Roma sembra abbiano descritto effetti positivi soprattutto nel caso di atassie cerebellari.

In ogni caso, l’uso della tDCS anche in individui sani non ha mancato di sollevare pesanti questioni etiche. Secondo alcuni esperimenti in laboratorio infatti, questa tecnica permetterebbe addirittura di manipolare la capacità di un individuo di saper mentire meglio in situazioni difficili, quali per esempio gli interrogatori in tribunale.
Per quanto concerne gli effetti collaterali conosciuti, possiamo annoverare solo quelli relativi a un utilizzo poco accorto degli elettrostimolatori, che può provocare piccole bruciature cutanee, comunque di leggera entità dovute all’uso prolungato degli apparecchi elettronici, ben oltre le dosi consigliate” prosegue Priori.

Riguardo invece agli aspetti negativi di un uso prolungato pare che i ricercatori ancora non siano in grado di stimarne gli effetti, perché finora non sono mai state eseguite sperimentazioni prolungate né su pazienti, né su animali, essendo il cervello di questi ultimi non paragonabile a quello umano.
Buone notizie dunque, ma in prospettiva. “Sebbene i risultati siano davvero interessanti, è bene in questi casi mantenere il tempo futuro quando si parla di curare una malattia o sostituire un trattamento farmacologico” conclude Priori.

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: Thomas Schultz, Wikipedia

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.