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Perché non ci piace il megaprogetto del cervello in silico

http://commons.wikimedia.org/wiki/File:ArtificialFictionBrain.pngCRONACA – Ha superato le 600 adesioni la lettera inviata il 7 luglio scorso alla Commissione europea da un primo nucleo di scienziati fortemente critici nei confronti dello Human Brain Project (HBP), il megaprogetto che punta alla simulazione in silico, cioè al computer, di tutte le attività del cervello umano. Una lettera con una richiesta forte – riconsiderare l’opportunità di finanziare la seconda fase del progetto, pena un boicottaggio dello stesso – resa pubblica proprio nel momento in cui i neuroscienziati europei erano riuniti a Milano, per il FENS Forum.

Come abbiamo anticipato, al centro della polemica ci sono sia gli aspetti scientifici del progetto, sia la sua gestione, considerata da alcuni troppo gerarchica, troppo legata agli interessi del  coordinatore Henry Markram. Ma ci sono anche aspetti più generali, riferiti alla natura stessa del progetto, che è un’iniziativa Flagship (in pratica una “nave ammiraglia”) nell’ambito del programma FET della Commissione europea, dedicato alle tecnologie emergenti e future. Vediamo dunque qualche dettaglio in più, a partire dalla scienza.

Obiettivo principale di HBP è realizzare una piattaforma tecnologica per raccogliere tutti i dati disponibili sul cervello – quelli sul funzionamento di singole sinapsi, singoli neuroni e gruppi di neuroni, singole aree neuronali e così via – e farli “dialogare” tra loro, per arrivare alla costruzione di un modello informatico. In pratica, una simulazione delle funzioni del nostro cervello. Ma già su questo obiettivo non c’è accordo nella comunità scientifica internazionale. «È molto difficile che i dati raccolti finora possano essere integrati, perché non sono stati ottenuti secondo un paradigma comune» afferma Mathew Diamond, coordinatore dell’area di Neuroscienze  della SISSA di Trieste, tra i primi firmatari della lettera. «Ogni gruppo di ricerca ha lavorato – ed è un bene che sia stato così – secondo paradigmi propri, con modelli animali differenti, in condizioni differenti, con procedure differenti. Che senso ha mettere tutto insieme?». Non solo: c’è anche chi pensa che sia praticamente impossibile arrivare a simulare nei dieci anni del progetto le funzioni complesse del cervello, per esempio le funzioni cognitive (la memoria, il linguaggio, la percezione), partendo dai dati molecolari e di neurofisiologia che abbiamo a disposizione.

Per Henry Markram sono critiche dalla vista corta: secondo il neuroscienziato, già a capo di un predecessore di HBP, chiamato Blue Brain Project, che ha portato alla simulazione di una singola colonna corticale, siamo di fronte a un cambio di paradigma scientifico e i contestatori si stanno semplicemente opponendo alla novità. Come ama ripetere: «La produzione di articoli scientifici sul cervello è immensa e continua a crescere nel tempo. Eppure negli ultimi anni sono stati sviluppati pochissimi nuovi farmaci per malattie neurologiche. O cambiamo approccio o rischiamo di non andare da nessuna parte».

Però, dicevamo, in ballo non c’è solo l’approccio scientifico del progetto. «Molti dei firmatari non lo condividono, ma ovviamente gli riconoscono dignità» commenta Diamond. «Il problema è da un lato il meccanismo di produzione della conoscenza scientifica che prevede e dall’altro il fatto che sia stato presentato come iniziativa che punta a unire la comunità dei neuroscienzati europei, cosa che non è». In effetti molti contestatori erano contrari all’idea stessa di un progetto FET- Flagship su questi temi. «Si tratta di progetti top-down, in cui la direzione della ricerca viene decisa a monte senza spazio per proposte dal basso. Un approccio del genere può funzionare con la fisica delle alte energie, come è stato per la caccia al bosone di Higgs, perché in quel caso c’era un modello di riferimento, il Modello Standard, con il quale confrontarsi. Ma qui non c’è alcun modello condiviso e allora penso che sia più utile un “caotico” bottom-up di progetti proposti da singoli ricercatori».

Scienziati volenti o nolenti, comunque, il progetto è partito e i critici si sono limitati a qualche brontolio nei corridoi, finché le cose – a loro avviso – non sono nuovamente peggiorate e fino al casus belli che portato alla lettera: l’esclusione del ramo di ricerca dedicato alle neuroscienze cognitive dai progetti “core”, quelli centrali, di HBP. Il punto è che ogni anno è previsto uno stanziamento di 100 milioni di euro per il progetto nel complesso: di questi, 50 – garantiti – vengono dalla Commissione europea e vanno ai progetti “core”, mentre gli altri 50 vengono da programmi di finanziamento dei singoli stati membri. Dunque sono meno sicuri e devono essere conquistati tramite bandi indipendenti per “progetti partner”.

Ebbene, a fine maggio il board di HBP ha deciso una riorganizzazione dei propri progetti core, tra i quali non figura più la linea di ricerca di Cognitive Architectures coordinata dal francese Stanislas Dehaene. «È stato un po’ come aver invitato un ospite a cena, e poi averlo lasciato fuori dalla porta di casa, ad accontentarsi di briciole lanciate dalla finestra» commenta Alessandro Treves, professore di neuroscienze della SISSA di Trieste, anche lui tra i firmatari dell’appello. Che prosegue: «In realtà questo non è accaduto solo a Dehaene. Nella fase di costruzione di HBP, i proponenti hanno cercato di coinvolgere più ricercatori possibile, presentando il progetto come un’impresa collaborativa in grado di interessare fattivamente tutte le neuroscienze europee. Strada facendo, però, molti che pure avevano dato una prima adesione hanno scoperto che la loro partecipazione era solo nominale, che non c’era margine di discussione sulle attività di ricerca e che i finanziamenti promessi non erano affatto scontati. E sono cominciati i ritiri».

Naturalmente i membri di HBP respingono le critiche: «I progetti FET sono per loro natura molto focalizzati e non ammettono scostamenti dall’idea principale del progetto» spiega Egidio D’Angelo, direttore del laboratorio di neurofisiologia dell’Università di Pavia. «La linea di ricerche cognitive non è stata soppressa, si è solo ritenuto che in questa fase iniziale del progetto sia meno critica. Probabilmente rientrerà tra i “core” in un secondo momento. Del resto, l’obiettivo ora è costruire il modello e lì devono essere diretti tutti gli sforzi». Certo, rimane da capire perché ci si sia resi conto solo a progetto appena avviato che le neuroscienze cognitive non erano così fondamentali, ma in ogni caso siamo arrivati al vero nocciolo della questione: i soldi.

I “dissidenti” temono due effetti: che visto l’impegno profuso dalla Commissione europea in HBP, non siano più disponibili altri fondi europei per le neuroscienze e che questo impegno sia destinato a un progetto fallimentare. In altre parole: che si buttino al vento soldi che potrebbero essere usati in ricerche più proficue. D’angelo minimizza – «I 50 milioni l’anno che la Commissione europea mette in HBP sono una minima parte di tutti gli investimenti fatti nella ricerca neuroscientifica» – mentre la dichiarazione ufficiale rilasciata dal board di HBP in risposta alla lettera cerca di spiegare, in modo pacato e fuori di polemica, la natura di HBP e i meccanismi di assegnazione dei fondi al suo interno. D’altro canto, i contestatori appaiono più decisi che mai. Con la loro lettera, si sono esposti al rischio forte di essere percepiti come quelli che protestano solo perché non è toccata anche a loro una fetta della grossa torta in ballo, ma per Treves è un rischio da correre, tanto grave giudicano la situazione.

Ora si tratta solo di vedere che accadrà. In un’intervista a ScienceIndsider, un rappresentante della Commissione europea ha dichiarato che è troppo presto per trarre conclusioni sul successo o il fallimenti di HBP. E che la Commissione procederà come previsto con la revisione del progetto, dal punto di vista scientifico-tecnologico e di gestione manageriale.

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Immagine di apertura: Gengiskanhg / Wikimedia Commons

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Valentina Murelli
Giornalista scientifica, science writer, editor freelance