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Prodotti “senza chimica”: ecco la lista completa

chemistry bottles with liquid insideCOSTUME E SOCIETÀ – Abbiamo completato uno studio esaustivo di prodotti comuni che vengono commercializzati come ‘privi di sostanze chimiche’ e preparato una dettagliata analisi di quei prodotti che vengono etichettati come tali“.

Questa è una parte della lettera che ha accompagnato il manoscritto spedito a Nature Chemistry lo scorso aprile da Alexander Goldberg, chimico del Weizmann Institute of Science, e dal blogger Chemjobber. Un manoscritto che aveva l’intento di smascherare quei prodotti che si spacciavano come privi di chimica, elencando unicamente quelli che potevano realmente dirsi chemical-free.

Il risultato? Un documento assolutamente vuoto.

La lettera è una provocazione nei confronti di chi sembra dimenticare che “tutto è chimica”: ogni prodotto, che sia un cosmetico o un alimento, è formato da molecole chimiche. Eppure non mancano gli articoli di consumo pubblicizzati come chemical-free per intendere che sono di origine naturale e quindi, secondo molti, più sani e sicuri.

Questa avversione nei confronti della chimica da tempo indispettisce i chimici e ha spinto i due autori a mostrare in modo ironico l’assurdità dell’espressione usata.

Ma da dove nasce questa paura per la chimica?

I primi problemi naquero già alla nascita della moderna chimica di sintesi. Il chimico industriale Anselm Payen riuscì a inizio 1800 a sintetizzare in laboratorio il borace, detergente portato per la prima volta in Europa da Marco Polo. Sembra però che la sostanza di sintesi non avesse quel leggero colore che caratterizzava il borace usato fino a quel momento, e che era dovuto essenzialmente a impurità. Certo, quello sintetico era molto meno costoso, ma per farlo accettare a livello commerciale fu necessario colorarlo in modo artificiale. Il borace sintetico era infatti percepito come innaturale, così come innaturale sarebbe stata vista una carota arancione durante il Rinascimento, quando la maggioranza delle carote era viola (anche se oggi diremmo il contrario). I concetti di artificiale, sintetico e naturale dipendono quindi molto dal contesto socio-culturale.

La chimica, per esempio, ha vissuto periodi di grande prestigio, forte della fiducia da parte della popolazione: lo testimoniano i supereroi e fumetti, resi speciali per merito della chimica, o la radioattività, che nei primi decenni del secolo scorso era considerata un valore aggiunto per qualsiasi prodotto.

Sono stati gli anni Settanta del Novecento a registrare la più forte caduta di fiducia nei confronti della chimica. Complici di questa reazione pubblica sono senza dubbio stati l’inquinamento ambientale fraudolento, gli incidenti di aziende chimiche e la tragedia di Chernobyl.

Ormai da parecchi anni il marketing ha trovato un nuovo alleato contro l’ostilità di parte del pubblico: il naturale o, appunto, l’assenza della chimica. E siccome non è possibile eliminare sul serio la chimica, si è cercato di eliminarne il linguaggio (cioè la nomenclatura), togliendo qualsiasi sigla che potesse portare il sapore di innaturale. Un esempio? La mortadella 100% naturale. O anche l’additivo E330, che se viene chiamato acido citrico può far pensare agli agrumi e a prodotti naturali.

Con le parole associate alla chimica ingannare può diventare molto facile, soprattutto su internet. È di qualche anno fa una petizione per bloccare il DHMO o monossido di diidrogeno, molecola dalle terrificanti proprietà negative. La molecola in questione era in realtà l’acqua e la petizione era uno scherzo creato per sensibilizzare la popolazione sulla paura, spesso immotivata, nei confronti della chimica.

Forse una lista veramente utile sarebbe quella di chi fa pubblicità ingannevole o dei siti non affidabili, come hanno velatamente fatto notare anche gli autori dell’articolo originale: “Chiediamo che si escludano dal processo di revisione dell’articolo i gestori della pagina Facebook Chemical Free Kids e le 3000 e più persone che hanno messo ‘mi piace’ “.

Correzione, 22 luglio 2014: In una versione precedente dell’articolo era riportato erroneamente che l’additivo E330 è chiamato anche vitamina C: questa vitamina è invece acido L-ascorbico.

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Crediti immagine: zhouxuan12345678, Flickr

 

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Federico Baglioni
Biotecnologo curioso, musicista e appassionato di divulgazione scientifica. Ho frequentato un Master di giornalismo scientifico a Roma e partecipato come animatore ai vari festival scientifici. Scrivo su testate come LeScienze, Wired e Today, ho fatto parte della redazione di RAI Nautilus e faccio divulgazione scientifica in scuole, Università, musei e attraverso il movimento culturale Italia Unita Per La Scienza, del quale sono fondatore e coordinatore. Mi trovate anche sul blog Ritagli di Scienza, Facebook e Twitter @FedeBaglioni88