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Hpv e cancro: se per la diagnosi basta un tampone

3690946522_39dd9fe038_bSALUTE – Torniamo a parlare di HPV, il famoso papilloma virus, ma questa volta non in riferimento all’apparato genitale, bensì a quello orofaringeo. Sì, perché questo virus, che come è noto è la causa scatenante del cancro alla cervice uterina, gioca un ruolo non certo secondario anche nei casi di tumore orofaringeo. Se è vero infatti che in generale i tumori alla testa e al collo sono correlati con il consumo di alcol e tabacco, il 30% dei tumori dell’orofaringe, in particolare tonsillari, sono associati proprio alla presenza dell’HPV. Una completa caratterizzazione di questo tipo di tumore consiste quindi anche nel verificare la presenza del virus.
Per la diagnosi dei tumori della testa e del collo, la prassi comune si serve di una biopsia, cioè di un prelievo di tessuto, procedura che risulta però invasiva per il paziente.

Recentemente un gruppo di medici e biologi dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena e dell’Istituto Dermatologico San Gallicano ha messo a punto un sistema per l’analisi dell’infezione da HPV in lesioni del cavo orale e dell’orofaringe, utilizzando un semplice ”spazzolamento”: un’analisi citologica poco invasiva che ha fornito finora risultati interessanti. Paragonando infatti i risultati ottenuti tramite analisi citologica usando questo metodo con i dati delle biopsie, la concordanza è di oltre il 90%. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Cancer.

Perché la diagnosi passa per l’HPV
“Negli ultimi anni abbiamo osservato un forte aumento dei tumori della testa e del collo HPV positivi, specialmente in Europa, mentre quelli correlati ad alcol e tabacco sono in netta diminuzione”, spiega Maria Benevolo, Dirigente biologo presso l’Anatomia, Istologia e Citodiagnostica del Regina Elena, una degli esperti che hanno guidato la ricerca. “Per questa ragione ci si sta concentrando sulla diagnosi attraverso metodi che siano il meno invasivi possibile e siano utili anche per evidenziare la presenza dell’HPV”.
La difficoltà, racconta la Benevolo, è rappresentata dal fatto che il virus dell’HPV non si comporta nel cavo orale e nell’orofaringe come nell’apparato genitale. In quest’ultimo infatti esso provoca lesioni pre-neoplastiche che permettono un riconoscimento precoce della malattia, e che si sviluppano in una zona precisa che può essere campionata facilmente con il PAP-test. Nel caso delle regioni della testa e del collo questo invece non accade, dal momento che non sono ancora chiaramente note le lesioni pre-cancerose, né è possibile individuare una zona in cui mirare il prelievo in assenza di lesioni evidenti.

Tampone vs biopsia
“Non possiamo ad oggi affermare che il metodo è perfetto e pronto per essere utilizzato a livello diagnostico – precisa la Benevolo – certo è però che il nostro modello sembra promettente per quanto riguarda la non invasività e l’efficacia”. Il punto infatti non è la soglia di efficacia del metodo diagnostico, ma la concordanza, cioè la possibilità di paragonare i risultati a quelli ottenuti tramite biopsia. Ma perché non accontentarci della biopsia? “Per due ragioni – spiega la Benevolo – primo, perché prelevare un tessuto è un’operazione molto più invasiva rispetto a ricavare delle cellule ‘spazzolando’ delicatamente il cavo orale; secondo, perché con la biopsia si tende a prelevare una quantità molto piccola di tessuto, talvolta sufficiente solamente per lanalisi morfologica della lesione, ma non per rilevare la presenza del DNA del virus”.
La metodologia utilizzata al Regina Elena pare dunque assai semplice: prelevare con uno “spazzolino” le cellule direttamente dal cavo orale e dall’orofaringe e analizzarle sia dal punto di vista morfologico che molecolare (HPV). Viene dunque da chiedersi perché nessun’altro ci abbia pensato prima. “In realtà la citologia orale è una strada nota da decenni, il punto è che è stata abbandonata con il tempo, proprio per la scarsa qualità dei suoi indicatori”, racconta la Benevolo. “Ci sono parecchie review che auspicano una nuova validazione del metodo citologico, ma purtroppo i lavori effettivi in questa direzione sono pochi e spesso non confrontabili fra di loro. Basta infatti che un gruppo abbia utilizzato un metodo che non sia lo ‘spazzolamento’ per ricavare le cellule, affinché i risultati non siano confrontabili.”

Un primo passo
“Anche se attraverso questa analisi abbiamo ottenuto una concordanza significativa con i risultati delle biopsie – prosegue la Benevolo – il nostro non è che un piccolo passo verso la messa a punto di un metodo diagnostico vero e proprio. In particolare dobbiamo lavorare in due direzioni: un miglioramento della metodologia, che riduca al minino i casi di falsi negativi, che ad oggi rappresentano purtroppo una percentuale ancora troppo significativa, e uno studio più ampio su pazienti non selezionati”. Il campione di individui su cui è stato eseguito lo studio infatti è stato selezionato fra i pazienti dello stesso istituto, persone dunque malate di cui si conosceva l’esatta situazione medica. Il salto è invece testare il metodo su una popolazione più ampia e non selezionata preventivamente.
“A quest’ultimo proposito ci stiamo già cominciando a muovere grazie a un progetto di una nostra collega, Maria Gabriella Donà, ricercatrice dell’Istituto Dermatologico San Gallicano”. Maria Gabriella Donà ha vinto recentemente un bando del Ministero della Salute rivolto ai giovani ricercatori under 40. Lo scopo del finanziamento? Uno studio dell’infezione da HPV e una valutazione citologica della mucosa orale e orofaringea in uomini sani a rischio di infezioni a trasmissione sessuale: un primo passo per applicare il metodo messo a punto a una popolazione senza lesioni evidenti ma a rischio di svilupparle.

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: Bradley Gordon, Flickr

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.