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Quando la scienza supera il Muro

Un approfondimento sul legame che esiste tra zoo e guerre, tra conservazione e diplomazia

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APPROFONDIMENTO – Una semplice telefonata, a volte, può bastare a tener viva la speranza di un domani migliore. Specialmente se quella telefonata è un modo di superare il concetto di “nemico”. Specialmente se quella telefonata è l’unico modo che hai per attraversare il Muro che separa Israele dalla Palestina, quando la guerra giunge ai livelli più bassi di crudeltà. Tutto per tentare di salvare gli animali del tuo zoo.

Uno degli aspetti meno conosciuti delle guerre è il destino che spetta agli animali rinchiusi negli zoo. È comprensibile. Centinaia di morti, in particolare se bambini, certo non possono essere paragonate alle vite di animali, seppure rinchiusi e ingabbiati. Ma conoscere la storia degli zoo durante i momenti di guerra è molto interessante, soprattutto per due ordini di ragioni. Innanzitutto perchè, attraverso la loro opera di divulgazione sulla biodiversità, gli zoo portano un raggio di scienza anche nei posti più impensabili. In secondo luogo, spesso queste aree possono diventare oasi di pace per i bambini vittime delle violenze degli adulti. L’altro lato della medaglia, ovviamente, è l’enorme sofferenza che questi animali patiscono, spesso anche prima e dopo le guerre. Il destino degli zoo durante le guerre, quindi, sono un buon paradigma di cosa significa mandare avanti la scienza in luoghi dove la stessa vita quotidiana è in grave pericolo e il ruolo che può avere nel superare i traumi che la guerra comporta.

Non un semplice zoo, ma un ponte di pace

Pochi giorni fa, sui social network globali, si è diffuso un video virale proveniente dallo Zoo di Tel Aviv, il Ramat Gan Safari Park. Le immagini mostravano un gruppo di elefantesse che al suono della sirena di Iron Dome, l’avanzatissimo sistema israeliano di difesa anti-missile, si stringevano a cerchio attorno ai loro piccoli, proprio come fanno gli elefanti in libertà quando si sentono in pericolo: molti israeliani si sono riconosciuti in quel gesto evocativo. Il Ramat Gan Safari Park è un luogo-simbolo di Israele e rappresenta anche un polo di eccellenza per la conservazione di specie in pericolo. Il parco fu inaugurato alla fine degli anni ‘80, quando il vecchio zoo di Tel Aviv fu smantellato, poiché troppo centrale (era a pochi passi dal municipio della principale città israeliana) e, soprattutto, perché i suoi terreni avevano un altissimo valore per la speculazione edilizia. Gli animali furono quindi spostati in una riserva naturale trasformata in zoo safari, che fin da subito si è dedicata alla riproduzione di specie rare. Ma il ruolo di Ramat Gan non finisce qui. Lo zoo è diventato negli anni una sorta di ponte tra Israele e la Palestina, in nome della scienza e della diffusione del principio del rispetto tra i bambini. Superando conflitti, barriere e violenza, lo zoo di Tel Aviv non ha mai smesso di aiutare il suo gemello in Palestina, che è stato per lungo tempo un’oasi di pace nell’inferno quotidiano di quei luoghi.

Un veterinario coraggioso

Qalqilya è una delle città più martoriate dal conflitto israelo-palestinese. La città, di circa 40.000 abitanti, si trova in Cisgiordania (anche conosciuta come West Bank) proprio a ridosso della Linea Verde, il confine stabilito nel 1967 dalle Nazioni Unite per separare la Palestina da Israele. Da questa cittadina sono partiti molti kamikaze islamici, motivo per cui è divenuto un punto di controllo strategico per l’esercito di Israele. Quando nel 2002 iniziò ad essere costruito il Muro di separazione, Qalqilya fu circondata quasi totalmente dalla barriera , tranne nella parte a est che venne però presidiata metro per metro dai militari di Tel Aviv. Questo isolamento fisico dal resto della Palestina separava anche i bambini da uno dei loro luoghi più importanti: il più grande giardino zoologico palestinese (anche se in realtà occupa pochi ettari di terreno), che dal 1986 trova alla periferia di Qalqilya. Lo zoo di Qalqilya era davvero il fiore all’occhiello di quei territori martoriati. Fu più volte ampliato, per poter far fronte al numero crescente di visitatori (arrivarono, nei primi anni ‘2000 ad essere circa 600.000 l’anno), sia arabi che israeliani. Per i bimbi palestinesi era uno dei pochissimi luoghi di pace, educazione e incontro. Per gli israeliani un vero affare: il biglietto d’ingresso costava 5 volte meno quello di Ramat Gan. Questo piccolo, grande successo lo si doveva principalmente al veterinario dello zoo, Sami Khader (o Qader), che dirigeva il posto con una regola ben chiara in testa: la politica, l’ideologia ma soprattutto la violenza dovevano rimanere fuori dal cancello.

Il momento più buio

Così non è stato: proprio quel cancello fu il teatro della morte di un bambino durante la Seconda Intifada, la grande rivolta palestinese dei primi anni del 2000. Da quel momento la vita dello zoo si fece durissima, drammatica. I militari israeliani quasi bloccarono del tutto le visite e questo provocò ben presto la bancarotta dello zoo. Ma Khader non si arrese. La violenza generalizzata rendeva tutto estremamente complicato. In un caso, il veterinario palestinese fu costretto a fingere un malore per poter entrare a Nablus a bordo di un’ambulanza: in quella città, infatti, erano state trovate delle scimmie detenute illegalmente. Ma da solo non poteva vincere. Grazie all’amicizia, alla stima e al rispetto di Motke Levison, il collega veterinario dello zoo di Ramat Gan, Khader riuscì ad avere i medicinali e il cibo per gli animali durante i periodi più difficili degli scontri. Quando la guerra si faceva più aspra, purtroppo, nemmeno per il Dottor Levison era possibile portare fisicamente il suo aiuto, sebbene Qalqilya e Ramat Gan distino meno di 50 minuti di auto. Ma l’amicizia superava la guerra: Khader e Levison sono sempre rimasti in contatto telefonico quando il blocco su Qalqilya era totale. Israeliani o palestinesi, ebrei o arabi, musulmani o laici: i due erano prima di tutto colleghi, scienziati e divulgatori. Ma la violenza di quegli anni non poteva fermarsi al cancello.

Una morte tremenda, ma non del tutto inutile

Poco dopo l’inizio degli scontri più cruenti, nel 2002, un colpo di arma da fuoco esplose vicino a Brownie, il maschio di giraffa dello zoo. Terrorizzato, iniziò a correre all’impazzata, inciampò e andò a sbattere la testa contro le sbarre della sua gabbia. Cadde a terra, ma non morì per il colpo. Il veterinario Khader assistette impotente alla lenta agonia di Brownie. Era lì, a pochi metri da lui, ma era davvero troppo pericoloso precipitarsi fuori per fare l’unica cosa che avrebbe dovuto fare, l’iniezione letale. Per una giraffa cadere a terra significa morire: il cuore di questi animali, infatti, pompa una grande quantità di sangue per farlo arrivare fino al cranio. Quando sono sdraiati a terra, questa potenza risulta micidiale, poiché la pressione arteriosa aumenta fino a far esplodere il cuore. Khader si straziò nel vedere la lenta agonia di Brownie. Era l’inizio di una serie di morti. La morte di Brownie sconvolse la sua compagna Ruti, incinta, al punto che si lasciò andare lentamente fino al punto di abortire. Khader giura di averla vista “piangere” per intere settimane. Poco tempo dopo, mentre i soldati israeliani cercavano di disperdere una manifestazione adiacente allo zoo, alcuni fumogeni finirono all’interno del parco: morirono 3 zebre. Da lì le morti si susseguirono. Dall’altra parte del muro Levison cercava di fornire tutto l’aiuto che poteva dare, facendo anche pressioni sull’esercito.

Nascita di un Museo di Storia Naturale molto particolare

La situazione era davvero critica, ma Khader non si dette per vinto. Grazie anche all’aiuto (telefonico) del collega e ai suoi studi di tassodermia, decise di fare l’unica cosa che al momento garantiva ai bambini di vedere i loro animali tanto amati: impagliò artigianalmente gli animali che via via morivano. Dalla guerra, dalla violenza e dalla morte è quindi nato uno dei musei di storia naturale tra i più particolari (e anche un po’ inquietanti) che esistano. La mummia di Brownie, ovviamente, domina su tutto ed è diventata anche il simbolo dello zoo nonché, involontariamente, un’opera d’arte. Terminato il conflitto, Levison riuscì finalmente a dare un aiuto concreto a Khader e il suo eroico sforzo fu premiato. Nel 2004 Ramat Gan ha donato a Qalqilya tre leoni, due zebre, uno struzzo e qualche altro animale. Anche le visite allo zoo non subiscono più pesanti restrizioni e i visitatori sono cominciati a tornare. Khader, grazie alla diminuizione della violenza, ha iniziato di nuovo a girare le scuole palestinesi per insegnare l’amore e il rispetto per gli animali. In un territorio come quello di Israele e Palestina, il rispetto della (bio)diversità non è un semplice slogan. È, forse, un concetto rivoluzionario.

Qui una interessante iniziativa per aiutare lo zoo di Qalqilya.

@gia_destro

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Crediti immagine: Nicki Mannix, Flickr

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