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Bio o non bio: questo è il problema (scientifico)

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SALUTE – Qualche settimana fa è stato pubblicato sul British Journal of Nutrition uno studio che sembrava “rivelatorio”: i prodotti coltivati secondo l’agricoltura biologica sono più nutrienti. Non solo, la quantità di pesticidi è nettamente minore (circa 4 volte in meno). In altre parole gli alimenti biologici sono migliori. Sono quindi il futuro dell’agricoltura, oppure no? Dopo nemmeno venti giorni Nature ha riaperto il dibattito con un editoriale riflessivo sul significato della ricerca in questione. Altri studi, infatti, son stati realizzati in passato (e dicevano il contrario) e soprattutto tutti i risultati ottenuti dalle ricerche sui vari aspetti del biologico vanno interpretati, e non è sempre facile.

Visto il crescente successo mediatico e commerciale dell’agricoltura biologica, sono molti i ricercatori che han cercato di capire se i prodotti biologici avessero realmente le proprietà sfoggiate, vagliandole col metodo scientifico. Riassumiamo quello che si è scoperto in questi anni, alla luce del nuovo studio. Intanto va detto che i risultati sono stati spesso contraddittori, rendendo difficile fare conclusioni. Spesso infatti le ricerche non sono confrontabili fra loro perché si analizzano aspetti diversi su colture diverse. Inoltre non tutti i lavori sono fatti con lo stesso rigore.

Ci sono dati abbastanza chiari riguardo l’impatto ambientale: le colture biologiche preservano meglio la biodiversità, anche se è la stessa agricoltura che, più che il modello adottato, a rappresentare una minaccia. Inoltre ci sono molte evidenze sulla resa delle coltivazioni biologiche, che risulta essere considerevolmente più bassa, il che significa dover utilizzare, a parità di produzione, più terreno da destinare all’agricoltura.

I discorsi diventano più complessi se si vuole rispondere alla domanda “Ma il biologico è più nutriente?”. Per questa ragione, la Food Standard Agency (FSA) qualche anno fa ha commissionato una rassegna sistematica per raccogliere e analizzare tutta la letteratura scientifica sull’argomento. Una di queste si è concentrata unicamente sugli aspetti nutrizionali, arrivando a raccogliere tutti gli studi effettuati negli ultimi decenni, per un totale di più di 50.000 articoli. Un numero enorme che è stato ridotto dopo aver scartato quelli non pertinenti, non sottoposti a peer-review, o che non avessero una descrizione precisa delle varietà utilizzate e i metodi adottati. I risultati ottenuti sui rimanenti 55 articoli, i soli giudicati di buona qualità, erano chiari: a parte per qualche particolare composto (magnesio, azoto, flavonoidi e pochi altri) non ci sono differenze significative.

Più recentemente, nel 2012, l’Università di Stanford ha realizzato una nuova rassegna sistematica, giungendo sostanzialmente alle stesse conclusioni. Stesso discorso per un progetto del CRA (ex INRAN) presentato l’anno scorso.

Per quanto riguarda i pesticidi, uno studio italiano del 2007 ha analizzato i residui rintracciabili negli alimenti: è stato trovato che nell’agricoltura “convenzionale” il 73% dei campioni non ne conteneva, mentre negli alimenti biologici la percentuale si alzava fino a ben il 97,4%. Risultati non molto diversi sono stati ottenuti dall’EFSA nel 2010 per l’Unione Europea o in studi extraeuropei. I ricercatori hanno comunque dichiarato che “in entrambi i casi (biologico e convenzionale) la presenza di residui al di sopra delle soglie di legge è molto basso” e quindi non necessariamente significa un effetto negativo sulla salute, nemmeno quando occasionalmente viene superato il limite legale.

Ma allora il nuovo studio di qualche settimana fa cos’ha portato di nuovo?

Per quanto riguarda i pesticidi la conferma che, generalmente, i prodotti convenzionali contengono più residui. La vera novità sta nell’aver trovato differenze a livello nutrizionale.

Carlo Leifert, tra gli autori della ricerca, sostiene che la differenza sia la quantità di dati maggiormente disponibili rispetto a cinque anni fa. Va però considerato il fatto che la rassegna precedente prendeva in considerazione articoli a partire dal 1958 e il problema della stragrande maggioranza di questi non era il fatto che fossero pochi, ma semmai di scarsa qualità.

Proprio questa è la principale critica che viene fatta nell’editoriale di Nature. Nel nuovo studio vengono considerati anche lavori precedentemente considerati di minore qualità, col rischio di far comparire differenze significative anche laddove non ce ne sono. Oltre al fatto che, dicono gli editori, “non è chiaro se la pratica dell’agricoltura biologica sia la causa di queste alte concentrazioni”.

Resta poi una domanda fondamentale. E quindi?

L’obiettivo di questi studi, infatti, non era tanto quello di capire se i prodotti biologici avessero più carotene o magnesio, ma se l’eventuale differenza fosse significativa e di qualche rilevanza dal punto di vista della salute: questo era anche lo scopo della seconda rassegna dell’FSA. La conclusione è stata che, coi pochi dati disponibili (appena tre su decine di migliaia gli studi pertinenti considerati attendibili), era impossibile dimostrare qualsiasi beneficio sulla salute dei consumatori.

Dunque se avete scelto di consumare biologico, sappiate che il dibattito è ancora aperto.

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: Kevin Lallier, Flickr

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Federico Baglioni
Biotecnologo curioso, musicista e appassionato di divulgazione scientifica. Ho frequentato un Master di giornalismo scientifico a Roma e partecipato come animatore ai vari festival scientifici. Scrivo su testate come LeScienze, Wired e Today, ho fatto parte della redazione di RAI Nautilus e faccio divulgazione scientifica in scuole, Università, musei e attraverso il movimento culturale Italia Unita Per La Scienza, del quale sono fondatore e coordinatore. Mi trovate anche sul blog Ritagli di Scienza, Facebook e Twitter @FedeBaglioni88