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1,1 miliardo di euro per il dissesto idrogeologico. Cosa si può fare

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CRONACA – Non più tardi di qualche ora dopo la tragedia di Refrontolo, l’espressione “dissesto idrogeologico” era sulla bocca di tutti, grosso modo quanto il problema del global warming e dei cambiamenti climatici.

Al di là di facili confronti, come quello recente del Governatore Zaia, che paragonava quello che è capitato lo scorso 2 agosto in provincia di Treviso alla tristemente celebre tragedia del Vajont, il punto è che in Italia il problema del dissesto idrogeologico c’è e Refrontolo è solo un’occasione in più per parlarne. Più o meno correttamente, dato che è ancora troppo presto, dicono gli esperti, per additare capri espiatori.

In ogni modo, giusto il giorno successivo alla tragedia, il 3 agosto scorso, il Consiglio del Ministri ha emesso un comunicato stampa dove si spiega come il Governo si stia muovendo per far fronte al problema del dissesto idrogeologico. Il progetto in questione si chiama #italiasicura, ed è una struttura di missione di Palazzo Chigi per lo sviluppo e il miglioramento delle infrastrutture idriche. Si parla di 1,1 miliardi di euro da mettere a gara entro la fine del 2014 per opere “urgenti”. Soldi che pare ci siano ma che non sono stati ancora spesi e che significherebbero – si legge – 650 milioni di euro a disposizione per cantieri antidissesto e 480 milioni per il settore idrico. Il governo avrebbe già effettuato incontri con tutte le Regioni per individuare le opere più urgenti da realizzare e il modo più rapido per allentare i vincoli burocratici che spesso rallentano le procedure.

La domanda è se questo miliardo di euro rappresenti una goccia nell’oceano o se sia invece sufficiente per sanare ciò che c’è da sanare. Secondo Fausto Guzzetti del CNR da un lato questa è una goccia nel mare rispetto ai lavori di sistemazione che sarebbero necessari a tappeto lungo tutta la penisola, ma al tempo stesso #italiasicura è un’iniziativa unica nel suo genere negli ultimi anni. Si dovrebbe fare molto di più insomma, ma per il momento dobbiamo valorizzare tentativi come questo, che rappresentano – afferma Guzzetti – una sorta di inversione di tendenza per il nostro paese. Già a marzo scorso, racconta Guzzetti, il governo si era impegnato sul fronte del dissesto idrogeologico e delle risorse idriche con il progetto Terraferma che coinvolgeva 1,5 miliardi di euro. “Quello che però bisognerebbe capire, e che si capirà definitivamente quando verranno aperte le procedure d’appalto, è come questi soldi verranno spesi, a quale tipo di intervento si deciderà di dare priorità.” afferma Guzzetti. Su questo processo decisionale il CNR spera di essere coinvolto, sia per coadiuvare il governo nell’individuazione dei principali progetti su cui focalizzare gli interventi, sia per fissare le linee di ricerca dell’istituto, gli obiettivi verso cui concentrare sforzi e finanziamenti. “Come CNR a luglio abbiamo addirittura mandato un comunicato stampa a Renzi palesando la nostra disponibilità a collaborare, ma a oggi non abbiamo ancora avuto risposta. Speriamo di riceverla presto”.

In punto è – ci spiega Guzzetti – che per usare bene un finanziamento è necessario lavorare preventivamente per fissare linee di ricerca precise, un coordinamento tra i vari stakeholder, cioè lo stato, le regioni, i comuni, gli istituti di ricerca, le università. “Molte volte le opere sono progettate molto bene, ma non è detto che vengano usate le migliori tecniche disponibili, e questo solamente perché non c’è stato un dialogo con chi si occupa di ricerca nel settore delle tecnologie.” In altre parole, gli strumenti per fare bene pare che non ci manchino, serve però un maggior dialogo.

Un ulteriore aspetto da non trascurare, racconta Guzzetti, riguarda il significato del termine “dissesto idrogeologico”. “Ci sono le grandi opere certo, ma anche la piccola manutenzione, come quella stradale, ragione per cui è sbagliato anche focalizzarsi troppo sul mettere a punto sistemi tecnologici avanzati. Dipende su che cosa si sta lavorando, ragione per cui un coordinamento tra il governo e il CNR può essere di primaria importanza.” Infine, il problema dei piani regolatori, che spesso sono vecchi di vent’anni, e che fanno sì che anche le migliori tecnologie all’interno di queste maglie risultino poco produttive.

Insomma, il miliardo di euro di #italiasicura in questa fase iniziale pare una possibilità di fare bene. Certo, la partita si giocherà nei prossimi mesi, quando i bandi di gara verranno emessi e sarà chiaro chi dove e come sarà chiamato a intervenire.

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: Dupondt, Wikimedia Commons

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.