SCOPERTE

Da panino a polpo: così una molecola mantiene la sua memoria

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SCOPERTE – L’utilizzo di molecole in dispositivi elettronici non è certo una novità. Per esempio, tra gli oggetti di uso quotidiano, possiamo pensare agli schermi dei nostri cellulari e televisori che sono basati sulla tecnologia OLED (organic light emitting diode) in cui si sfrutta la presenza di strati di molecole per avere maggiore luminosità ed elevata risoluzione. Questo è l’obiettivo che si sono posti alcuni ricercatori che stanno studiando molecole che, prese singolarmente in particolari condizioni, si comportano come dei magneti, con un proprio effetto memoria. Inoltre, per le loro dimensioni particolarmente ridotte (nanometri) mostrano effetti che sono tipici dei sistemi quantistici che potranno essere quindi utilizzati per sviluppare dei veri e propri computer quantistici. In questo senso, una delle scoperte più interessanti dell’ultimo periodo viene dal nostro paese, più precisamente dal Laboratorio di Magnetismo Molecolare dell’Università di Firenze. Qui un giovane ricercatore, Matteo Mannini, è riuscito con un team di ricercatori italiani e francesi ad assemblare delle molecole con queste caratteristiche su una superficie di silicio rendendole stabili, cioè impedendo che le loro proprietà svaniscano appena la molecola viene in contatto con la superficie. Siamo solo agli inizi per questo settore di ricerca ed essere riusciti a modificare queste molecole integrandole su un’architettura bidimensionale mantenendo le proprietà magnetiche attese, rappresenta tutt’ora un obbiettivo di prim’ordine.

La complessità dell’approccio necessario a studiare e sviluppare questi sistemi è molto elevata e richiede che chimici, fisici e ingegneri informatici collaborino e trovino un modo per manipolare le molecole senza danneggiarle, per integrarle all’interno di dispositivi che possano “dialogare” con il mondo macroscopico. L’organizzazione di queste molecole può essere considerata il primo passo per manipolare le informazioni contenute in ciascuna di esse mediante sonde di lettura e scrittura locali. Mannini ci ha raccontato un po’ meglio la sua scoperta, pubblicata su Nature Communication, e che cosa può significare un risultato come questo per il futuro sviluppo di una nuova tecnologia basata sulla “spintronica molecolare”.

Anzitutto, di che molecola si tratta?
È una molecola particolare, che possiamo immaginare come una sorta di “panino”, dove le fette di pane sono rappresentate da due molecole organiche relativamente piatte, ftalocianine, ed il “ripieno” da uno ione Terbio(III), un elemento chimico appartenente alla serie delle terre rare e che costituisce il cuore magnetico che può immagazzinare o elaborare e trattare un flusso di informazioni. Questa molecola è molto stabile chimicamente e mantiene il suo comportamento magnetico fino a temperature più facilmente accessibili rispetto a quelle di cui ci eravamo occupati fino ad ora. Il difetto di questa molecola era causato dal fatto che, appena posta in contatto con una superficie conduttrice, allo scopo di metterla in comunicazione con “l’esterno”, purtroppo perde completamente le proprietà magnetiche che si vuole sfruttare per l’elaborazione dell’informazione. Il nostro lavoro è stato dunque quello di modificare la molecola in modo che non perdesse la sua “memoria” magnetica. A livello pratico si è trattato di modificare il “panino” aggiungendo tanti piccoli bracci, che altro non sono che catene alchiliche, che lo possano ancorare in maniera controllata ad una superficie di silicio. Per far questo abbiamo utilizzato metodiche di preparazione e caratterizzazione che sono proprie delle nanotecnologie e siamo riusciti a fare in modo che le molecole si auto-assemblassero sul silicio formando un singolo strato molecolare, quindi uno strato bidimensionale (che può permettere l’accesso alle singole molecole) e mantenendo il loro comportamento magnetico caratteristico, inclusa la proprietà di avere una memoria, ma non solo.

Ma che cosa si intende con “memoria di una molecola” e come si misura?
Se una molecola può trovarsi in una condizione diversa a seconda che su di essa abbia agito una forza (magnetica) in una direzione o nella direzione opposta, significa che la molecola in questione è in grado di immagazzinare una certa informazione in un certo tempo e di riutilizzarla al momento opportuno, nonché cambiarla mediante uno stimolo esterno. Una molecola può quindi comportarsi come una singola unità di memoria ed essere sfruttata per immagazzinare informazioni, in analogia al meccanismo attualmente sfruttato nelle unità di memoria degli hard disk tradizionali. La novità è che utilizzando queste molecole, si può riprodurre questo meccanismo in un sistema nanometrico, in un unico strato di molecole che è spesso meno di due nanometri ciascuna, raggiungendo, almeno potenzialmente, densità elevatissime. Infatti, l’enorme potenzialità applicativa di queste molecole è data dal fatto che ognuna di queste molecole può singolarmente contenere un’informazione in uno spazio di poco più di un nanometro quadro e questo potrebbe portare alla realizzazione di nuovi dispositivi di memoria miniaturizzati e molto capienti. Il problema sta tutto nel riuscire a leggere e “scrivere” l’informazione sulla singola molecola. Normalmente la memoria di un materiale si misura come effetto di “isteresi”, che è la caratteristica di un sistema di mantenere una traccia delle sollecitazioni che ha subito, in funzione del percorso fisico seguito. Questo macroscopicamente viene fatto anche nei nostri laboratori, ma volendo studiare piccolissime quantità di materiale, come quelle che costituiscono un solo strato di molecole assemblate su una superficie di pochi millimetri, occorre utilizzare strumenti molto più raffinati e potenti come i sincrotroni. Questi permettono di produrre radiazioni X polarizzate dalla cui interazione con lo ione terbio presente in questo caso nella molecola, è stato possibile ricavare la conferma della presenza di effetti di isteresi magnetica e quindi del fatto che la molecola mantiene la sua memoria.

Dicevi che c’è dell’altro, a cosa può servire questo tipo di materiali? Quali applicazioni stanno trovando oggi queste scoperte?
Attualmente parlare di applicazioni di questi studi è prematuro, nel senso che siamo ancora in una fase di ricerca e ci vorrà tempo e notevoli sforzi affinché queste conoscenze diventino tecnologia. Il problema, possiamo dire, è che noi dobbiamo lavorare ricordandoci sempre la fragilità chimica e fisica e la complessità delle molecole anche se vorremmo trattarle come mattoncini della LEGO e creare grandi architetture molecolari secondo gli schemi della nanotecnologia. Tuttavia, si tratta di un processo molto lento perché ogni volta che viene modificato un parametro, apportando una piccola variazione alla struttura della molecola che speriamo possa costituire il cuore di un nuovo dispositivo con proprietà più performanti, a questo deve seguire un lavoro certosino di valutazione delle proprietà funzionali della nuova architettura ibrida e di verifica che la molecola da noi inserita sia “sana e salva” al suo interno.
La cosa entusiasmante è però che stiamo cominciando a capire che queste molecole potrebbero non solo essere utilizzate come unità di memoria, ma anche come componenti attive in dispositivi quantistici, che potrebbero cioè essere proprio gli oggetti che i fisici stanno cercando per controllare il trasporto dello stato di spin. Questi materiali molecolari potrebbero infatti avere applicazioni nel campo della spintronica, un nuovo campo di ricerca che nel 2007 ha valso il Nobel ai fisici Albert Fert e Peter Grünberg per lo studio e l’applicazione della magneto-resistenza gigante. È troppo presto per dire come, ma la ricchezza delle proprietà quantistiche di questi oggetti molecolari che adesso cominciamo a saper manipolare, lascia sperare che presto potremmo essere in grado di costruire dispositivi che sfruttino al meglio i meccanismi di trasporto non solo delle cariche elettriche, come nell’elettronica classica, ma anche dello stato di spin elettronico. Tutte queste idee hanno comunque bisogno di maturare e trovare il loro spazio per essere sviluppate di qui ai prossimi 20 anni, non certo nel breve termine. Quello che possiamo fare a breve termine è invece cercare nuove molecole in laboratorio, verificare le loro caratteristiche e cercare di comprendere il loro comportamento una volta inserite in architetture sempre più complesse. Molto importante sarà anche investire risorse nello sviluppo di tecniche di indagine su differenti proprietà fisiche, sempre più performanti nella regione nanometrica, in quanto gli avanzamenti in questo ultimo campo avranno di certo ricadute su uno spettro molto più grande di applicazioni e settori industriali di quello interessato direttamente da questo tipo di ricerca di frontiera.

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: Matteo Mannini, Laboratorio di Magnetismo Molecolare dell’Università di Firenze

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.