WHAAAT?

DIY: coltivare funghi per smaltire pannolini usati

OLYMPUS DIGITAL CAMERAWHAAAT? Il venerdì casual della scienza – Probabilmente non sono in molti a saperlo, ma il Messico vanta la terza posizione in una classifica mondiale piuttosto disgustosa: quella dell’utilizzo di pannolini monouso. La mastodontica (e non troppo ecosostenibile) produzione di rifiuti che ne consegue, comprensiva del nauseabondo carico, non è passata inosservata a un gruppo di scienziati: il team di Rosa Maria Espinosa Valdemar dell’Autonomous Metropolitan University di Azcapotzalco ha infatti deciso di sfruttare i pannolini come substrato, per allevare colonie di funghi in grado di proliferare degradandone le componenti.

I miceti si nutrono infatti della cellulosa, uno dei materiali a partire dai quali vengono prodotti i pannolini, “e in più sono in possesso di elementi sintetici non-biodegradabili come il polietilene, il polipropilene e un gel super-assorbente (poliacrilato di sodio) in grado di raccogliere i fluidi”, spiega Valdemar Espinosa. La specie sfruttata dagli scienziati per lo studio è Pleurotus ostreatus, un fungo molto diffuso e ampiamente coltivato. Come si passa dai pannolini sporchi alla coltivazione di funghi? Prima di tutto bisogna procurarsi i pannolini, ed è fondamentale che contengano rifiuti liquidi. In seguito li si sterilizza con un sistema ad autoclave, per mescolarli poi con altri materiali contenenti lignina, un polimero che si può trovare nella sansa (i residui solidi della spremitura di olive o simili), nel foraggio, nel caffé o nella corona degli ananas. Tale fase della preparazione, che pone le basi per la crescita dei funghi, è detta creazione del substrato.

“Al contempo dobbiamo ottenere il fungo […], tramite la crescita delle spore su una base di grano o sorgo. Il prodotto viene poi sparso sul substrato (contenuto in sacchetti di plastica) e tenuto al buio per due o tre settimane, in condizioni di umidità e temperatura controllate. In seguito si passa alla fase che prevede anche la luce”, spiega Valdemar Espinosa. Seguendo tutto il procedimento nel modo corretto, sono necessari circa due mesi e mezzo (a volte tre) affinché i pannolini comincino a degradarsi perdendo fino all’80% del peso iniziale. “Se lo facessimo, ad esempio, su un chilogrammo di pannolini, alla fine ci resterebbero due etti di pannolini e tre di funghi”. Gli stessi sacchetti che contengono il substrato hanno uno scopo ben preciso, in quanto la presenza di plastica favorisce il processo determinando il giusto spazio per la crescita oltre a un’adeguata areazione.

Una volta cresciuti i funghi, quanto rimane del poliacrilato di sodio può essere recuperato. Per fare cosa, chiederete voi? Per impiegarlo nei suoli che non trattengono l’umidità, spiega l’autrice dello studio, beneficiando così enormemente gli aridi terreni messicani. Raccolti i funghi, anch’essi non vanno affatto sprecati. “Una volta certi che non contenessero organismi infetti o contaminanti, abbiamo effettuato un’analisi e scoperto che il contenuto in proteine, grassi, vitamine e minerali era lo stesso del lievito commerciale”, raccontano i ricercatori. “Non ci aspettavamo nulla di diverso, principalmente perché i pannolini erano stati sterilizzati”.

Lo studio apre le porte a un’ampia linea di ricerca, che dovrà superare alcuni limiti. In primis si tratta di esperimenti condotti (finora) su piccola scala, con funghi che non hanno mai lasciato l’ambiente controllato del laboratorio. Chiaramente, almeno per ora, non si può pensare siano adatti alla vendita. “Il progetto non mira a produrre funghi destinati al consumo umano, e l’obiettivo principale è smaltire i pannolini per limitare i danni ambientali. In ogni caso i funghi potrebbero essere usati come integratore alimentare per il bestiame, e il gel sfruttato per aumentare il mantenimento dell’umidità nei campi. La plastica, infine, verrebbe destinata al riciclo”, conclude l’autrice dello studio.

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: Ste Elmore, Flickr

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".