AMBIENTE

Global Warming: un problema reale, da non sottovalutare

2222523486_5e1894e314_zAMBIENTE – È abbastanza comune, alla fine dell’estate, che influencer più o meno noti della rete (non necessariamente facenti parte dell’ambiente scientifico, tuttavia ascoltati da un ampio pubblico), si mettano a dibattere del tema del riscaldamento globale sulla base di dati piuttosto ininfluenti, quali le temperature stagionali più o meno vicine alle medie, così come viene spesso presa a riferimento l’abbondanza delle piogge senza usare la statistica né adottare una visione più allargata del problema rispetto al proprio campetto.

I detrattori del Global Warming più raffinati invece, preferiscono basare le proprie critiche e osservazioni concentrandosi sulla velocità e sulla portata dello scioglimento dei ghiacci perenni in alta quota o delle calotte artiche, scovando ogni piccolo cavillo o dettaglio scientificamente insignificante per confutare ciò che ormai è verità consolidata: il clima sta mutando.

Il dibattito sul riscaldamento globale è viziato, da molti anni, da una partigianeria piuttosto antiscientifica, ovvero quella che vede in una piccolissima enclave di scienziati che negano il contributo antropico al riscaldamento globale, un baluardo per le proprie convinzioni.

Brian Cox, noto scienziato e divulgatore scientifico inglese, ha recentemente affermato durante una conferenza alla Society of Biology che la comunità scientifica sta così “fornendo al pubblico un falso senso di dibattito”. Continua Cox nel suo intervento: “Gli scienziati che si occupano di clima, concordano per la stragrande maggioranza, con un livello di confidenza pari al 95%, che l’attività dell’uomo è la principale causa dell’attuale riscaldamento globale ma purtroppo il livello di accuratezza di tale fronte è minato da detrattori senza senso, motivati il più delle volte politicamente”. Accuse pesanti ma sicuramente dettate da una convinzione, ovvero quella che la visione scientifica a oggi disponibile e ampiamente accettata è quella migliore, anche se scomoda per l’economia e una certa visione politica.

Veniamo ai fatti. Il documento più completo e recente da un punto di vista scientifico è sicuramente Il Quinto Rapporto di Valutazione (AR5, Fifth Assessment Report) dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), pubblicato nella sua prima parte lo scorso anno e del quale, progressivamente tra il 2013 e la prima parte del 2014, sono state rese note le sezioni successive, ovvero i risultati e le osservazioni dei vari gruppi di lavoro (se ne è discusso anche su OggiScienza, in particolare nel Parco delle Bufale) che sono stati chiamati a redigere il documento che sarà finalizzato il prossimo 27 ottobre 2014 alla conferenza prevista a Copenaghen. In attesa della conferenza e a sostegno dell’introduzione di questo articolo ricapitoliamo brevemente i risultati recentemente pubblicati.

Partiamo dai dati preoccupanti, già presentati lo scorso anno dal gruppo di lavoro 1 (Working Group 1, WG1): il riscaldamento globale ha forti evidenze scientifiche, supportate da dati come l’innalzamento della temperatura media nell’ultimo secolo in buona parte del pianeta, la progressiva acidificazione e riscaldamento degli oceani, l’aumento dell’emissione in atmosfera di gas con elevata efficienza radiativa (Radiating Force, FR) dovuta in buona parte ad attività antropica: nel 2010 abbiamo raggiunto 49 GigaTonnellate di gas serra emessi in atmosfera, una quantità insostenibile. A questi osservazioni si aggiunge inoltre la limitata estensione estiva dei ghiacci artici, ormai ridotti a meno di 6 milioni di chilometri quadrati, la metà rispetto alla loro estensione negli anni ’40 del secolo scorso. Fatti, osservazioni confermate alle quali è impossibile replicare.

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Particolarmente preoccupanti gli scenari individuati dal gruppo WG2, incaricato di raccogliere e definire gli scenari riguardanti l’impatto dei cambiamenti climatici su ecosistemi e vita, oltre che i possibili scenari socio-economici adattivi e le vulnerabilità in gioco. Questo lavoro è basato su pubblicazioni e ricerche che hanno coinvolto 309 lead author e migliaia di esperti interpellati come reviewer e commentatori. Un lavoro scientifico in piena regola, con una solida base di dati che è letteralmente raddoppiata tra il 2005 e il 2010 grazie a pubblicazioni e ricerche provenienti da ogni parte del mondo.

Lo scenario complessivo non lascia molti dubbi: l’impatto è globale, su risorse fondamentali quali, ad esempio, gli oceani e purtroppo anche alle specie che vivono questo habitat e le loro abitudini. La resa di alcune importanti coltivazioni per l’alimentazione umana risulta meno abbondante in percentuali comprese tra il -2 e il -4%, con impatti diversi a seconda del territorio interessato. Abbiamo tutti sotto gli occhi gli eventi climatici estremi che devastano il territorio, anche nel nostro Paese. L’influenza dei cambiamenti climatici si fa poi sentire sulla salute umana, con effetti diversi a seconda delle condizioni sociali, politiche ed economiche dei paesi o delle aree coinvolte.

Ancora più drammatico è constatare che i processi di adattamento a questa situazione sono già in atto in molti paesi: si passa dal razionamento dell’acqua alle migrazioni di massa, animali ed umane, fino ad arrivare a soluzioni tecnologiche come le barriere del MOSE di Venezia che hanno proprio lo scopo di bloccare l’arrivo in città di maree particolarmente alte, un evento estremo che potrebbe essere causato dai cambiamenti climatici. Tutto questo potrebbe comunque non essere sufficiente se gli scenari predittivi prospettati dovessero essere confermati senza adeguate policy di mitigazione.

Cosa fare dunque? Quali politiche adottare per mitigare l’impatto di questi cambiamenti? Il compito del WG3 è concreto ed arduo: nonostante gli sforzi di contenimento, assistiamo oggi ad uno scenario nel quale l’emissione di gas serra è ancora in aumento, anzi, negli ultimi dieci anni ha avuto un aumento pari al 2,2% annuo contro l’1,3% medio del secolo scorso. È necessario cambiare drasticamente le abitudini energetiche, e maggiore sarà l’attesa più alti saranno i costi di mitigazione per scongiurare le predizioni più negative per il pianeta. Cambiare abitudini significa rivedere in maniera significativa i consumi energetici a livello globale e andare ad agire con politiche mirate su tutti i fattori antropici che determinano l’emissione di anidride carbonica quali i trasporti, la produzione di energia elettrica e l’industria.

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Una richiesta scomoda, soprattutto in un periodo di crisi economica. Mettendo sulla bilancia i rischi si riesce ad intuire che si tratta comunque di una necessità ormai impellente.

Attendiamo ora la conferenza di sintesi dell’Assessment Report. Dai dati presentati e supportati da centinaia di autori e revisori interpellati da ben 85 paesi risulta chiaro che considerazioni egoistiche e su scala molto locale non hanno il minimo senso in un’ottica scientifica e non andrebbero minimamente prese in considerazione (invece immancabilmente generano dibattiti sterili ed infiniti nella palude dei social network, quando qualche negazionista decide di spararla grossa).

Il tempo scorre e si deve agire ora.

Riprendendo le parole di Cox: “Compromettere la credibilità della scienza per ciò che riguarda questo problema, solo perché non si apprezzano gli aspetti economici è una deriva pericolosa. Perché il problema non è minare solo quello ma la stessa base razionale delle decisioni prese per la società intera”. Parole sagge, che sarebbe il caso di ascoltare.

 

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Immagini:
Immagine di apertura: woodleywonderworks, Flickr
Fig.1
Scenari attuali e predittivi dei principali parametri fisici indicativi del riscaldamento globale in atto. Dall’alto: temperatura media in superficie, precipitazioni medie, estensione dei ghiacci artici e variazione del pH degli oceani (fonte WGI AR5, IPCC.ch)
Fig.2 – Dettaglio percentuale delle emissioni dirette ed indirette di anidride carbonica in atmosfera (fonte WGIII AR5, IPCC.ch)

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Paolo Bianchi
Classe 1983. Laureato in chimica all’università di Pavia, lavora in ambito industriale chimico come account manager e project leader. Tra i primi podcaster italiani nel 2006, ha fondato il podcast Scientificast ed è attuale presidente dell’associazione culturale omonima. Appassionato giocatore di ruolo e da tavolo e consumatore vorace di fantascienza. Ne scrive su Dado Incantato e sul suo blog personale, Elementozero.