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Il nobel per la chimica l’ha vinto l’infinitamente piccolo

Schermata 2014-10-08 alle 11.54.56ATTUALITÀ – Il Nobel per la chimica 2014 è stato assegnato a chi ci ha permesso di vedere il mondo infinitamente piccolo, perfezionando e portando ai massimi livelli la microscopia ottica. Eric Betzig del Howard Huges Medical Institute, Stefan W. Hell del Max Planck Institute e William E. Moerner della Cornell University hanno vinto il Nobel “per lo sviluppo della microscopia a fluorescenza a super-risoluzione”.

L’invenzione della microscopia ottica nel 1600 ha dato origine a una vera e propria rivoluzione: organismi prima invisibili all’occhio umano, singole cellule animali o vegetali e batteri divennero materia di studio per la scienza, perché finalmente erano apprezzabili alla vista.
Fino al XX secolo però era ben noto il limite invalicabile della microscopia ottica: gli strumenti a disposizione non erano in grado di vedere come distinti due oggetti a una distanza inferiore alla metà della lunghezza d’onda della luce. In altre parole, se due oggetti sono fra loro più vicini di 250 nm l’occhio umano non è in grado di vederli come due entità distinte nemmeno con l’uso di un microscopio ottico. La risoluzione sugli oggetti microscopici viene persa per fenomeni di diffrazione della luce, che diventano rilevanti quando un’onda luminosa incontra un ostacolo le cui dimensioni sono comparabili o minori rispetto alla propria lunghezza d’onda.
Il limite della microscopia ottica venne definito da Abbe nel 1873, ed è stato necessario attendere il lavoro di questi tre studiosi per arrivare a vedere con i nostri occhi virus, organelli cellulari, proteine, acidi nucleici, strutture macromolecolari. La microscopia, in seguito agli studi dei tre premi Nobel, si è trasformata in nanoscopia.
“Il lavoro di Betzig, Hell e Moerner ci ha dato la possibilità di vedere i meccanismi cellulari. Tutte le funzioni importanti per la vita sono regolate da singole molecole, con ruoli ben precisi all’interno della cellula. Ecco perché è così importante poterle visualizzare”, ha commentato Alberto Credi, ricercatore del Photochemical Nanoscience Laboratory dell’Università di Bologna.
Inoltre grazie a queste scoperte è possibile non soltanto dire dove si trovano le molecole all’interno delle cellule, ma anche quando e perché. “Sebbene esistessero già tecniche microsopiche dotate di più elevata risoluzione, come la microscopia elettronica a trasmissione (TEM)”, ha spiegato Credi, “i microscopi a fluorescenza a super-risoluzione danno la possibilità di osservare le cellule dal vivo, evitando le metodiche di inclusione e sezione tipiche del TEM e consentendo quindi di seguire veri e propri processi cellulari in versione live”.

Sono due i principi della microscopia a super-risoluzione che sono stati premiati quest’oggi.

Il primo è la Stimulated Emission Depletion Microscopy (STED) proposto da Hell nel 1994, che ha modificato i normali microscopi a fluorescenza ampliandone le potenzialità. Hell infatti si accorse che creando una sorta di guaina esterna al raggio laser usato nei microscopi a fluorescenza per eccitare i fluorocromi, era possibile limitare la diffrazione. Bastava affiancare due raggi laser per aumentare in maniera molto precisa  la risoluzione del punto centrale da mettere a fuoco, tanto da raggiungere una scala nanomentrica. Scansionando l’intero campione tramite questo sottile fascio laser, era possibiile ricostruire l’immagine precisa di organelli cellulari come i mitocondri.

Il secondo principio premiato è quello enunciato in modo indipendente da Betzig e Moerner. I due sono responsabil dell’introduzione della possibilità di mettere a fuoco e vedere al microscopio anche una singola molecola. Il primo ad applicare la tecnica fu Moerner nel 1989.
A partire dall’esperimento di Moerner, Betzig nel 1996 pensò che marcando in modo puntiforme le singole strutture di un batterio o di un organello con tanti fluorocromi differenti,  fosse possibile ottenere tante immagini formate da puntini di diversi colori a seconda della lunghezza d’onda usata.  In seguito, grazie alla sovrapposizione di tutti gli impulsi luminosi raccolti alle diverse lunghezze d’onda, sarebbe stato  possibile ricostruire l’immagine completa della struttura da osservare. Il metodo, così come pensato in origine, era però troppo dispendioso, perché sarebbero stati necessari troppi fluorocromi differenti per marcare strutture così complesse.
La ricerca in questo senso andò avanti dopo che Moerner pubblicò nel 1997 un articolo sulla scoperta di una proteina fluorescente capace di emmettere luce nel verde, la GFP. La molecola di Moerner era straordinaria soprattutto per la sua capacità di accendersi e spegnersi: dopo essere stata eccitata a 488 nm e aver emesso fluorescenza, si spegneva per poter poi essere riattivata durante un secondo ciclo di eccitazione a 405 nm. Questa scoperta aprì lo studio di nuove molecole fotoattivate.
Fu questo che rese possibile nel 2006 l’esperimento di microscopia a singolo fluoroforo di Betzig, il primo che utilizzò un sistema di marcatura puntiforme per ricostruire immagini più complesse e ad alta risoluzione,  tramite una tecnica che prese il nome di  Photoactivated Localization Microscopy (PALM).

La scoperta di questi tre studiosi ha apportato importanti innovazioni per molte discipline, dalla chimica alla biologia, dalle neuroscienze alla fisica, e ha inaugurato le nanoscienze con tutti gli sviluppi futuri che ne conseguiranno.

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Giulia Annovi
Mi occupo di scienza e innovazione, con un occhio speciale ai dati, al mondo della ricerca e all'uso dei social media in ambito accademico e sanitario. Sono interessata alla salute, all'ambiente e, nel mondo microscopico, alle proteine.