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Da Trieste nuovi risultati per future tecnologie al grafene

5057399792_b88ae5b06b_zFUTURO – Lo sguardo dell’uomo contemporaneo è fisso verso il basso. No, non per osservare meglio il proprio cammino, ma per cercare una presa dove ricaricare il cellulare. Pare che per adesso dobbiamo continuare ad accontentarci dei nostri moderni smartphone, le cui attuali batterie ci costringono a una costante dipendenza da una presa elettrica, ma in futuro ci potrebbe venire in aiuto il grafene. È bene ribadirlo: in futuro, perché con buona pace dei tanti articoli apparsi in questi giorni sul web gli “smartphone di nuova generazione”, i cellulari, e più in generale i transistor che funzionano utilizzando il grafene non sono ancora vicini alla commercializzazione. Non è certo questo l’obiettivo dei ricercatori dell’Università di Trieste e di Elettra, guidati da Alessandro Baraldi, che hanno recentemente pubblicato i risultati delle loro ricerche su Nature Communications.

Ricerche che hanno permesso agli scienziati di mettere a punto un nuovo sistema in grado di sfruttare appieno le potenzialità del grafene (conducibilità elettrica, resistenza meccanica e flessibilità, tra le tante) a livello macroscopico senza alterarne la struttura. Come? Ossidando una lega di nichel e alluminio, sulla quale era stato preventivamente cresciuto sopra un “foglio” di grafene, che altro non è che un singolo strato sottilissimo di atomi di carbonio disposti a formare un reticolo a “nido d’ape”, cioè secondo una struttura esagonale. In questo modo il sottile strato di grafene – in cui gli elettroni si muovono a velocità prossime a quelle della luce, cioè si comportano come particelle relativistiche – poggia non più su un altro materiale conduttore, come per esempio un metallo, processo che si può realizzare con facilità, ma su un materiale isolante, l’allumina appunto. Ossidando la speciale lega nichel-alluminio infatti il materiale diventa un ossido e quindi un isolante elettrico, che così non altera le proprietà del grafene.

Quello che abbiamo fatto nei nostri laboratori, attraverso una collaborazione con University College London, CSIC Madrid e un team di ricercatori danesi è stato studiare un metodo semplice per sfruttare le potenzialità del grafene accoppiandolo agli ossidi e scegliendo materiali a basso costo” spiega Alessandro Baraldi. “In questo senso abbiamo lavorato partendo da una lega, appunto la lega nichel-alluminio, entrambi elementi poco costosi, che tramite un semplice processo chimico-fisico di ossidazione, si può trasformare in un materiale isolante da usare come substrato per lo strato di grafene.” Nel dettaglio, uno strato di allumina, che altro non è che la ceramica comunemente utilizzata per l’isolamento elettrico, dello spessore di 2 soli nanometri, su cui poggia un foglio di grafene. “In questo modo la struttura del grafene non si altera – spiega Baraldi – cioè detta in maniera spicciola non ‘perde pezzi’, cioè atomi di carbonio, così come tipicamente avviene nei processi di trasferimento fino a oggi utilizzati”. Il duplice problema del trasferimento del grafene dai supporti metallici sui quali viene cresciuto è infatti la contaminazione ed il danneggiamento: può creare delle vacanze di uno o più atomi di carbonio del reticolo e in questo modo la mobilità degli elettroni, che normalmente nel grafene è altissima, viene ridotta di parecchi ordini di grandezza. In altre parole, nel processo di trasferimento molte delle proprietà del grafene vengono degradate. Cresciuto direttamente sull’allumina invece il grafene mantiene la propria qualità e il tutto a prezzi contenuti.

“La nostra è una tecnologia all’avanguardia, ma ciò non significa che dobbiamo già cominciare a metterci in coda per acquistare il telefonino del futuro” precisa Baraldi. “I nostri studi per quanto promettenti, tanto che siamo già in contatto con alcune aziende del settore tech, rientrano ancora nel campo della ricerca di base. Senza dubbio la strada verso la sostituzione delle annose batterie al litio o transistor di nuova generazione che utilizzino la nostra nuova interfaccia grafene-allumina è aperta, ma a livello di applicazioni è ancora tutto da fare. Attualmente quello che abbiamo fatto in modo molto convincente è stato incrociare i risultati sperimentali – il gruppo triestino è composto da fisici sperimentali come me – con delle simulazioni a cui hanno lavorato alcuni fisici teorici, in particolare un team inglese e uno spagnolo, che hanno confermato che attraverso il nostro modello sperimentale le eccezionali qualità e potenzialità del grafene vengono preservate.”

Ottimi risultati dunque, ma per ora la caccia dell’homo sapiens sapiens alla presa elettrica più vicina non è finita.
Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: CORE-Materials, Flickr

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.