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Studiare l’evoluzione con i robot

Il laboratorio di John Long a New York da anni costruisce robot sul modello di animali estinti per studiare l'evoluzione delle specie

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SPECIALI – C’è chi ha deciso di affrontare la domanda sul chi siamo e da dove veniamo costruendo dei robot sul modello di animali estinti. Si chiama John Long e lavora al Vassar College di New York e nel suo laboratorio costruisce robot che non solo si comportano come antichi animali estinti, ma che si evolvono come loro, con l’obiettivo di capire sempre qualcosa di più dell’evoluzione delle specie che ha portato fino agli attuali abitanti del pianeta Terra.
Il lavoro curioso di Long è stato al centro di un incontro tenutosi a Genova in occasione del Festival della Scienza, in cui si è parlato di come è possibile studiare la teoria dell’evoluzione grazie alla moderna robotica. Perché i robot che costruisce Long negli Stati Uniti permettono ai ricercatori di capire meglio la biologia di questi animali del passato, come se ce li avessero davanti. Al momento infatti il team di Long sta utilizzando robot autonomi biomimetici per capire come vertebrati simili ai pesci che vivevano sulla Terra 500 milioni anni fa si sono evoluti nei pesci moderni. In particolare come alcuni pesci hanno sviluppato le loro caratteristiche biologiche specifiche, ovvero le vertebre, le pinne caudali, e un sistema sensoriale chiamato linea laterale che rileva il movimento e le vibrazioni in acqua. Questi bio-robot sono costruiti per simulare in tutto e per tutto i sistemi biologici e di conseguenza per testare le varie ipotesi biologiche sull’evoluzione.

Quello che noi definiamo studio sull’evoluzione, in questi esperimenti diventa un sistema a punti. Per verificare se le caratteristiche fisiche di un animale si sono evolute in risposta a determinate pressioni selettive, il team del professor Long costruisce ogni robot in modo leggermente diverso. Per testare teorie sull’evoluzione della colonna vertebrale per esempio, il laboratorio ha sviluppato diversi robot, ognuno con un diverso numero di vertebre. E come in una sorta di “olimpiade evolutiva”, gli scienziati hanno pianificato un sistema di valutazione per assegnare a ogni robot alcuni punti, a seconda della loro abilità nell’eludere i predatori, procacciarsi il cibo e procreare.

“Un risultato assai interessante delle nostre scoperte”, prosegue Long, ”è aver capito che il corpo può essere in parte responsabile di quello che è riconosciuto come comportamento intelligente”. In altre parole, l’intelligenza è un fenomeno che non ha origine solo nel cervello, ma è l’intero corpo a essere coinvolto nel permettere comportamenti che noi definiamo intelligenti.

Le ricerche in questa direzione sono andate molto avanti negli ultimi anni, ma sono ancora tante le domande a cui rispondere, a partire dalla relazione tra l’evoluzione di questi pesci e i cambiamenti ambientali, come il riscaldamento globale e le temperature dell’acqua più elevate. Inoltre, bisognerà cercare di spiegare le ragioni evolutive che stanno dietro al comportamento sociale e alla cosiddetta “intelligenza collettiva” di grandi gruppi di animali.

“Una volta eliminato l’impossibile, ciò che resta, per quanto improbabile, deve essere la verità” soleva dire Sherlock Holmes, e il percorso logico seguito dal team di Long circa l’evoluzione in realtà non si discosta molto da questo pensiero. ”Non possiamo sapere esattamente che cosa sia successo – racconta Long – tutto quello che possiamo fare è circoscrivere il possibile eliminiamo l’improbabile”.

@cristinadarold

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.
Crediti immagine: Donnie Nunley, Flickr

 

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.