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Farmaci biosimilari, a che punto è l’Europa

Sono ancora pochi quelli in commercio, ma secondo AIFA il mercato che si prospetta sarà enorme. Con un risparmio significativo per i SSN

4746653392_cd0676b04a_zSALUTE – Secondo le stime dell’AIFA, Agenzia Italiana del Farmaco, in Europa il risparmio annuo dato dall’utilizzo dei medicinali cosiddetti biosimilari, quelli cioè realizzati sulla base di farmaci biotecnologici già in commercio e di cui è scaduto il brevetto, si aggirerebbe intorno ai 2 miliardi di euro, che sempre secondo le stime dovrebbero diventare 20 miliardi da qui al 2020 e 250 miliardi nel decennio 2020-2030. Un risparmio notevole per i vari Sistemi Sanitari Nazionali. Tuttavia a oggi in Italia il mercato dei biosimilari è ancora limitato, sebbene a detta degli esperti, medici e istituzioni, essi non abbiano nulla da invidiare ai farmaci di uso comune. Questo quello che è emerso in un recente rapporto GfK, secondo cui nel 2013 questi farmaci avrebbero rappresentato solamente l’1,2% dei consumi sul mercato europeo sebbene costino molto meno di quelli originatori.
Un farmaco biosimilare non è altro che una versione “successiva” di un farmaco biologico già in commercio, prodotto “copiando” il farmaco in commercio dal momento in cui ne scade il brevetto. È identico a questo sia per caratteristiche di qualità che per efficacia clinica e sicurezza, ma costa meno, poiché per produrlo sono sufficienti studi di comparazione con il farmaco esistente per testarne la similarità, e quindi costi assai minori rispetto a quelli sostenuti dall’azienda che ha prodotto il farmaco originario attraverso programmi di sperimentazione clinica su ampie popolazioni di pazienti. Un’opportunità quella dei farmaci biosimilari che il mercato in realtà deve ancora cominciare a prendere seriamente, dal momento che a oggi sul mercato esistono prodotti biosimilari solo per tre principi attivi.
Ma sono sicuri alla stregua dei farmaci che usiamo abitualmente? La risposta di AIFA è sì. Ne abbiamo parlato con Simona Montilla, Dirigente delle professionalità sanitarie presso il Centro Studi AIFA.

I farmaci biosimiliari sono sicuri come gli altri?

La ragione è presto detta: un farmaco biosimilare non è la brutta copia di un farmaco già in commercio. Non vengono eseguiti nuovamente gli stessi trial clinici previsti dalla normativa europea per la prima immissione in commercio di un nuovo farmaco, essendo basati sulla composizione di farmaci già autorizzati, ma vengono eseguiti lunghi ed accurati test di comparazione tra questi nuovi farmaci e quelli originari attraverso un procedimento che è gestito da un ente come EMA, l’Agenzia Europea dei Medicinali, ad un alto livello scientifico e attraverso una serie di linee guida in aggiornamento continuo rispetto ai progressi della scienza e delle tecnologie. Inoltre, va considerato anche un altro aspetto, e cioè che questi nuovi farmaci potrebbero essere addirittura migliori rispetto ai relativi originatori, poiché potrebbero essere prodotti con tecnologie anche più avanzate. Inoltre la normativa europea sulla Farmacovigilanza ha previsto specifici e prioritari programmi di monitoraggio per questi prodotti.

Ci sono dei rischi nell’assunzione di questi farmaci?

L’unico aspetto da tenere in considerazione è che, come tutti i farmaci biologici, hanno la proprietà intrinseca di essere potenzialmente immunogenici, potrebbero cioè generare, in alcuni pazienti, una risposta immunitaria. Questo perché appunto sono farmaci biologici e non tutti i pazienti reagiscono allo stesso modo a questo tipo di farmaci. Una differenza che esiste addirittura da lotto a lotto produttivo, sia di farmaci biotecnologici originatori sia biosimilari. Questa è la ragione per cui la valutazione nella scelta del farmaco da utilizzare la deve comunque fare il medico.

Perché un medico dovrebbe scegliere di prescrivere un farmaco biosimilare a un paziente?

Dunque, anzitutto questa – come dice – è e deve essere una scelta del medico. Nel caso dei farmaci generici derivati da piccole molecole, infatti, vige la cosiddetta “sostituibilità automatica” da parte del farmacista, che può decidere di sostituire la prescrizione di un farmaco a base di un determinato principio attivo con un farmaco equivalente (come indicato nelle cosiddette liste di Trasparenza AIFA), meno costoso. Nel caso dei biosimilari questo non è consentito. È il medico l’unico che può decidere se prescrivere un biosimilare o un originatore. Per questo l’AIFA ha raccomandato di utilizzarli comunque in pazienti nuovi, che iniziano la terapia, non in pazienti che già usano un certo farmaco, in modo da garantire al paziente la continuità terapeutica.
Venendo alle ragioni per cui un medico dovrebbe optare per questi medicinali, la ragione è sostanzialmente economica: sono altrettanto validi ma costano meno al Sistema Sanitario Nazionale; possono, così, garantire un uso più efficiente e appropriato delle risorse e quindi trattare un numero più ampio di pazienti.

Secondo i dati GfK però pare che in Italia la prassi sia ancora poco diffusa. E così?

In realtà la situazione non è così negativa come viene dipinta. Il punto non è che il mercato ristagna, ma che in realtà deve ancora partire. È presto per valutare i numeri in merito, dato che al momento abbiamo, come le dicevo, farmaci biosimilari in commercio per soli tre principi attivi. Nei prossimi mesi avremo però altri due brevetti in scadenza per farmaci utilizzati in popolazioni abbastanza ampie. Già dal prossimo anno, quindi, e con un crescendo continuo nel prossimo decennio, proprio grazie al fatto che molti brevetti di farmaci biotecnologici scadranno – la deadline per i medicinali è all’incirca pari a 20 anni – prevediamo un notevole sviluppo del settore e una riduzione dei costi delle terapie per molto patologie. Certo, secondo noi bisognerà fare molta e buona informazione, rivolta principalmente alla classe medica, ma anche ai pazienti.

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: Taki Steve, Flickr

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.