SCOPERTE

Quanto siamo disposti a far soffrire gli altri per il nostro tornaconto?

Le ultime ricerche ci scoprono più altruisti di quello che si potrebbe credere

14855825107_80d82a2aea_zSCOPERTE – Negli anni Sessanta, Stanley Milgram condusse un esperimento dagli esiti quasi scioccanti sulla percezione dell’autorità, un esperimento che è rimasto nella storia della psicologia sociale. I soggetti partecipanti dovevano dare alcune indicazioni a degli “studenti”, che erano stati legati a una sorta di sedia elettrica. Ogni volta che commettevano degli errori (e lo facevano di continuo, visto che si trattava di attori chiamati a farlo), il partecipante “insegnante” doveva punirli con una scossa elettrica, di intensità crescente a ogni errore. Gli “insegnati” erano spinti a punire gli “studenti” da uno degli sperimentatori, che incitava con grande autorità.
Contrariamente alle aspettative, nonostante i soggetti dell’esperimento mostrassero sintomi di tensione e protestassero di fronte agli ordini dell’esaminatore che avevano al fianco perché ciò che stavano facendo andava contro la loro etica, una percentuale altissima di questi obbedì, nonostante le scosse causassero visibilmente grande dolore allo studente di turno e addirittura svenimenti.

Tornando a oggi, cosa succederebbe se si trattasse piuttosto di guadagnarci? Se si trattasse di dare scosse obbedendo non a un’autorità, ma al dio denaro? L’avaro essere umano sarebbe disposto a procurare dolore per guadagnare dei soldi? Viene da pensare di sì.
E invece, nonostante le ricerche e le evidenze della vita quotidiana ci dipingano come competitivi, assetati di vittorie e di soldi, e campioni di egoismo, un nuovo studio, pubblicato su PNAS sembra suggerire che potremmo essere ben più altruisti di quello che pensiamo.

Un team composto da ricercatori della Oxford University e della University College of London ha voluto indagare la questione organizzando un esperimento nel quale i partecipanti potevano guadagnare dei soldi se decidevano di dare scosse ad alcuni sconosciuti, oppure a loro stessi. È chiaro che nel prendere queste decisioni la morale ha un ruolo fondamentale, ma si sarebbe potuto pensare che, così come nel “gioco” di Milgram l’autorità ha contato più dell’etica personale, in questo caso fosse il tornaconto a contare ben più del dolore degli altri e della propria morale. Non è stato così. Tanto che, in genere, i partecipanti consideravano la sofferenza degli altri più della propria ed erano, perciò, più propensi ad autoinfliggersi dolore per soldi, più che ad infliggerlo a dei perfetti sconosciuti.

Durante la durata dell’esperimento i partecipanti pronti a dare la scossa si trovavano in una stanza con un computer e hanno preso parte a 150-160 trial. Per ognuno di questi trial dovevano decidere un tot di sterline per un diverso numero di scosse, fino a un massimo di 20 sterline e 20 scosse. Per volta.
Ad esempio poteva venir offerta una scelta tra 7 scosse per 10 sterline o 10 scosse per 15 sterline. La metà delle decisioni riguardava scosse a se stessi, l’altra metà agli altri. In ogni caso si riceveva del denaro. Dopo il primo esperimento, chi ha dato le scosse pattuite riceveva la cifra pattuita, così da chiarire che la cosa era reale. Inoltre era stato garantito a tutti i soggetti che la loro decisione sarebbe rimasta segreta, affinché non avessero timore del giudizio.
I risultati hanno mostrato che le persone erano pronte a sacrificare 20 pence (per scossa) per evitare la sofferenza a loro stesse e 40 pence per evitare la stessa sofferenza agli altri. Ad esempio avrebbero pagato 8 sterline per evitare 20 scosse agli sconosciuti, ma solo 4 per evitarle a loro stesse.
Allo stesso modo ci voleva una media di 30 pence di incentivo per scossa perché aumentassero il numero delle proprie scosse, 50 perché le aumentassero agli altri.

Un comportamento così prosociale nemmeno i ricercatori se lo sarebbero aspettato. E infatti, quando alla fine dello studio i volontari potevano devolvere in beneficenza una parte del loro guadagno, sono stati ben più spilorci: hanno donato in media solo un 20%. Questo è un comportamento che chiarisce che l’altruismo è fortemente legato al contesto. Ciò nonostante, “questi risultati contraddicono le più moderne teorie sull’altruismo – ha affermato il primo autore dello studio Molly Crockett in una nota stampa – Studi recenti affermano che le persone considerano gli interessi degli altri solo fino a un certo punto, e comunque mai più dei loro. Noi abbiamo dimostrato che, quando si tratta di far male, allora molti mettono gli altri prima di loro stessi. La gente preferisce trarre profitto dal proprio dolore piuttosto che da quello degli altri”.

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: Nine LaMaitre, Flickr

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Sara Stulle
Libera professionista dal 2000, sono scrittrice, copywriter, esperta di scrittura per i social media, content manager e giornalista. Seriamente. Progettista grafica, meno seriamente, e progettista di allestimenti per esposizioni, solo se un po' sopra le righe. Scrivo sempre. Scrivo di tutto. Amo la scrittura di mente aperta. Pratico il refuso come stile di vita (ma solo nel tempo libero). Oggi, insieme a mio marito, gestisco Sblab, il nostro strambo studio di comunicazione, progettazione architettonica e visual design. Vivo felicemente con Beppe, otto gatti, due cani, quattro tartarughe, due conigli e la gallina Moira.