SCOPERTE

Quanto resiste il DNA nello spazio?

Secondo uno studio pubblicato su PLOS ONE, il dna si conserva bene nello spazio

261445720_2f253a1336_zSCOPERTE – Quanto e come resiste il DNA a un volo spaziale? Piuttosto bene a giudicare dai risultati di uno studio portato avanti da alcuni ricercatori dell’Università di Zurigo che è appena stato pubblicato sulla rivista PLOS ONE.

La domanda su quanto possa resistere del DNA a un volo in orbita potrebbe apparentemente sembrare una domanda di pura curiosità. Si tratta, invece, di un indicatore estremamente importante per analizzare campioni provenienti dallo spazio, che potrebbero contenere eventuali forme di vita extraterrestri. Per questo motivo, alcuni ricercatori dell’Università di Zurigo, tra i quali Cora Thiel e Oliver Ullrich hanno cercato di tesstare il comportamento dei materiali in condizioni di microgravità. In particolare, sostanze chimiche e campioni biologici, come plasmidi, filamenti di DNA a doppia elica di cellule batteriche e “cassette geniche”, cioè gruppi di geni batterici, che facilmente contengono geni di resistenza agli antibiotici.

L’obiettivo dello studio era quello di capire se il materiale biologico fosse in grado di resistere alle sollecitazioni di un viaggio spaziale: in altre parole se, una volta recuperato del materiale dallo spazio, mantiene ancora una funzione una volta tornato sulla Terra, in modo da permettere un’analisi più approfondita. Per far questo gli autori dello studio i campioni sono stati applicati sulla parte esterna del razzo TEXUS-49, lanciato nel marzo 2011 dalla base spaziale di ESRANGE (European Space and Sounding Rocket Range) di Kiruna, in Svezia. Il volo, durato circa 13 minuti, è stato di tipo suborbitale e ha raggiunto una quota di 268 chilometri.

Cosa si è trovato? Appena rientrato il razzo, i campioni son stati analizzati e si è scoperto che il DNA era stato in grado di sopravvivere a bruschi cambiamenti di temperatura, compresi picchi di 1000 °C. Buona parte del DNA applicato al razzo è stato efficacemente recuperato, con punte del 53% nei punti del razzo più protetti.

Ma soprattutto il 35% del DNA è mostrato di conservare la propria funzione biologica. E questa è una notizia di estremo interesse. Perché gli stessi autori avevano progettato l’esperimento prevalentemente per testare la stabilità del DNA durante il volo spaziale e il rientro, ma non ci si aspettava di riuscire a recuperare così tanto materiale ancora intanto e funzionale.

Le possibili implicazioni di questa scoperta sono molteplici, perché, come ha spiegato Thiel, “Non è un problema che riguarda solo i voli dallo spazio verso la Terra, ma anche per quelli dalla Terra verso lo spazio: i risultati devono mettere in guardia sulla possibilità di contaminazione delle sonde spaziali, dei lander e siti di atterraggio con DNA di origine terrestre”.

Questo studio, dunque, ha permesso di verificare l’incredibile resistenza del DNA a stress come un viaggio spaziale e la possibilità che parte del materiale recuperato mantenga una propria funzione. Un possibile modello per testare la stabilità del DNA durante il transito in atmosfera e il rientro, ma anche per saggiare altri potenziali biomarker per la vita extraterrestre. Ad esempio gli acidi nucleici.

@FedeBaglioni88

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: Andy Leppard, Flickr

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Federico Baglioni
Biotecnologo curioso, musicista e appassionato di divulgazione scientifica. Ho frequentato un Master di giornalismo scientifico a Roma e partecipato come animatore ai vari festival scientifici. Scrivo su testate come LeScienze, Wired e Today, ho fatto parte della redazione di RAI Nautilus e faccio divulgazione scientifica in scuole, Università, musei e attraverso il movimento culturale Italia Unita Per La Scienza, del quale sono fondatore e coordinatore. Mi trovate anche sul blog Ritagli di Scienza, Facebook e Twitter @FedeBaglioni88