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Verso una pillola contro l’obesità

Le staminali entrano in gioco per contrastare il grasso "cattivo": più adipociti bruni significa anche meno malattie

4377056429_1a20f974ce_zSALUTE – “Il primo passo verso una pillola che potrebbe sostituire il tapis roulant”, così scherzosamente chiamata, è stato fatto dai ricercatori dell’Harvard Stem Cell Institute (HSCI). Grazie alle cellule staminali umane hanno individuato due composti, entrambi in grado di trasformare gli adipociti bianchi -quelli “cattivi”- in adipociti bruni, quelli “buoni”. Lo studio è stato pubblicato su Nature Cell Biology.

La lotta in corso è quella contro l’obesità: da questa scoperta a un farmaco efficace e sicuro la strada potrebbe essere molto lunga, precisano gli scienziati, che si mantengono cauti. I due composti individuati finora, spiega il leader della ricerca Chad Cowan, “vanno ad agire sulla stessa molecola, una che svolge un ruolo nella risposta infiammatoria. Somministrandoli per un lungo periodo, la persona che le assume potrebbe diventare immuno-compromessa”, il che conferma che non è possibile utilizzarli così come sono, ma dovranno essere modificati. Una delle due, che dopo la lavorazione è stata sottoposta agli opportuni trial clinici e approvata dalla U.S. Food and Drug Administration, è già in commercio come trattamento per l’artrite reumatoide.

Perché convertire le cellule adipose bianche in cellule adipose brune? Se le prime accumulano energia in forma di lipidi e giocano un ruolo nello sviluppo dell’obesità, del diabete di tipo 2 e di alcune condizioni correlate comprese le patologie cardiache, le seconde -da studi sui topi- si sono dimostrate in grado di ridurre il livello dei trigliceridi e l’insulino resistenza -associata al diabete di tipo 2- e di bruciare il grasso bianco.

Se ingeriamo troppe calorie e il corpo non ha modo di consumarle, le cellule staminali nel nostro corpo diventano adipociti bianchi, che si aggiungono al fardello di adipe. Convertendo le staminali destinate a diventare cellule adipose -che normalmente diventerebbero bianche- in modo da farle sviluppare come cellule brune, viene consumata energia e di conseguenza ridotto il numero e le dimensioni di quelle bianche già presenti. “Noi riforniamo continuamente il nostro tessuto adiposo”, spiega Cowan, “perciò sottoponendosi a una terapia per convertire le cellule, ognuna di quelle nuove sarebbe metabolicamente attiva e diventerebbe, nel tempo, parte del tessuto bruno”. Riducendo così la comparsa di malattie come il diabete di tipo 2.

Prima d’ora erano già stati pubblicati dei protocolli in cui gli scienziati spiegavano il procedimento per produrre adipociti a partire da cellule staminali, ma il team di Cowan non era mai riuscito a riprodurli. “Per questo motivo abbiamo trascorso i primi tre anni dei quattro che sono serviti per la ricerca a perfezionare i protocolli per produrre adipociti bianchi e bruni”. La collaborazione che ha permesso alla ricerca di essere portata avanti prevedeva i finanziamenti del gigante Roche Pharmaceuticals, ma “purtroppo è terminata”, spiega Cowan, “perché la compagnia ha deciso -per motivi non legati alla ricerca- di interrompere il suo programma sulle malattie metaboliche”.

È tramite l’analisi di una libreria di circa mille composti che il team di Cowan è riuscito a individuare questi primi due che sono in grado di innescare il meccanismo; se in futuro avranno accesso ai dati di una qualsiasi altra grossa compagnia farmaceutica potrebbero lavorare su numeri anche più grandi, librerie che vanno dal milione e mezzo ai due milioni di composti. La ricerca intanto proseguirà studiando gli effetti a breve e lungo termine dei primi due su modelli animali.

@Eleonoraseeing

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: nathanmac87, Flickr

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".