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Quando la scienza parla di felicità

Tra benessere, gioia, piacere, serenità e soddisfazione: ecco alcuni dei più recenti studi sul tema

4441155157_d10e8d7b21_zSPECIALI – Se c’è una cosa su cui quasi tutti fra scienziati e filosofi sono concordi è che l’uomo è alla ricerca della felicità come fine e non come mezzo. A partire da Epicuro, che già nelle prime righe della lettera a Meneceo associa la felicità al “benessere dell’animo nostro”. Sempre nello stesso scritto, il filosofo ellenistico spiega che l’obiettivo del suo indagare è conoscere le cose che fanno la felicità, su cui è necessario meditare e che si devono tradurre in una messa in pratica concreta. In epoca contemporanea, di studi scientifici su come essere felici ne sono stati pubblicati moltissimi solo negli ultimi anni, alcuni tradotti in veri e proprio libri, e spopolano gli elenchi con i consigli della scienza per essere davvero felici.
Oggiscienza non propone qui un decalogo di buoni consigli, ma una piccola raccolta di alcuni fra gli studi più recenti sulla felicità dal punto di vista della scienza. Certo, per quanto questo sia possibile, dal momento che la definizione stessa di felicità a ben vedere risulta problematica e spesso il suo significato rischia di confondersi con quello di parole come benessere, piacere, gioia, serenità, soddisfazione.

Anche solo volgendo lo sguardo indietro ai nostri maiores infatti, ci rendiamo conto che la felicità può essere intesa come soddisfacimento di un bisogno, o come gioia – il gaudium degli Scolastici – cioè la conoscenza riflessiva del possesso del Bene, in parole povere essere felici perché si è consapevoli di esserlo.
Ci sono teorie edonistiche della felicità, quelle secondo cui la misura di quanto siamo felici ha come nocciolo il piacere. Esistono le teorie del “sentimento”, che interpretano la felicità nel sentimento disinteressato di fare del bene agli altri. C’è quella che deriva dall’esercizio del proprio intelletto, e che Aristotele chiamava eudaimonia, e che noi oggi potremo tradurre in modo decisamente più rude come il raggiungimento delle nostre ambizioni. Queste solo per citare alcune delle definizioni di felicità elaborate in oltre 2000 anni di filosofia occidentale, ed evitando di tuffarci nel mare della ricerca prettamente psicologica degli ultimi due secoli.

I soldi fanno la felicità?
Secondo un articolo pubblicato sul Wall Street Journal, che raccoglie dieci anni di ricerche sulla questione, sì, anche se in realtà la felicità dipende da come spendiamo i nostri soldi, più che dal possederli in sé e per sé. Anche qui però qualche contraddizione c’è, dal momento che alcuni di questi studi hanno dimostrato che le persone sono più felici quando acquistano beni materiali duraturi, altre ricerche hanno invece evidenziato che la felicità è maggiore quando il denaro è speso in beni meno duraturi, come un viaggio o un concerto. Questo a causa di quello che viene chiamato “adattamento edonistico” che consiste nel progressivo decrescere del piacere, e quindi della felicità, dati da un oggetto tanto desiderato dopo una fruizione prolungata dell’oggetto stesso.

Dont’ worry, be happy, andando a letto presto
Se per felicità intendiamo il benessere dato dall’assenza di preoccupazioni, anche il sonno ha il suo peso. Un esperimento effettuato dall’Università di Binghamton su un campione di 100 individui ha rilevato che le persone che dormono poco e vanno a letto molto tardi la sera sono spesso sopraffatte da pensieri più negativi rispetto agli altri, preoccupazioni che influenzerebbero l’umore e quindi la percezione di benessere dell’individuo. I risultati sono stati pubblicati su Cognitive Therapy and Research.

Positività chiama positività
“No man is an island” scriveva il poeta inglese John Donne. Oggi la scienza sembra essere riuscita a quantificare questo poetico verso, grazie alle ricerche di un team di studiosi dell’Università della Pennsylvania, secondo cui chi vive in luoghi pieni di persone infelici dichiara di passare nell’arco di un mese più di una settimana in uno stato che giudica depressivo. In generale, più si è inseriti in una comunità di persone che si sentono vicine, migliore è il benessere, come indicatore di felicità. I risultati del rilevamento hanno mostrato infatti che nei luoghi dove le persone si sentono più connesse con il resto della comunità gli abitanti passano in uno stato di non felicità meno giorni al mese rispetto a chi invece è costretto a vivere in maniera più isolata, per questioni familiari o per lavoro.

La natura fa bene all’ottimismo
Anche solo passeggiare qualche minuto all’aria aperta fa bene all’ottimismo. Ad affermarlo una serie di studi pubblicati nel 2010 su Journal of Environmental Psychology, che hanno evidenziato attraverso esperimenti condotti su persone monitorate in spazi interni ed esterni, a contatto o meno con la natura, che il contatto con elementi naturali favorisce il benessere, infondendo un senso di positività nelle persone, anche a prescindere dal fatto di essere soli o in compagnia.

Felicità è fare più sesso dei nostri amici
Lo dice la scienza, in particolare il sociologo Tim Wadsworth della University of Colorado Boulder dopo aver coinvolto nell’esperimento un campione di 15.386 individui dal 1993 al 2006 nell’ambito di una ricerca americana sulla demografia e le attitudini della popolazione. Secondo questo studio, pubblicato poi su Social Indicators Research, non è fare l’amore in sé a rendere felici, ma sapere di farlo di più degli altri. Questo – spiega Wadsworth – perché qualsiasi persona a seconda della frequenza dei propri rapporti sessuali è sempre incline a pensare che gli altri, specialmente i suoi amici, in realtà lo facciano con maggiore frequenza. Un pensiero che provocherebbe, sempre secondo le statistiche, circa il 15% in meno di probabilità di dichiarare un alto livello di felicità in queste persone, rispetto a chi ha la consapevolezza di avere una vita sessuale migliore degli altri.

Chi fa volontariato vive di più e meglio
Qualche mattoncino per giungere alla felicità può arrivare anche dall’aiutare gli altri. Suzanne Richards della Exeter Medical School, esaminando i dati provenienti da 40 studi precedenti sull’argomento è riuscita a quantificare il beneficio in salute che le persone possono trarre dal rendersi utili gratuitamente agli altri. Secondo lo studio, pubblicato nel 2013 nientemeno che su BMC Public Health, il volontariato migliorerebbe la salute mentale di chi lo pratica e permetterebbe di vivere meglio più a lungo. I volontari analizzati hanno mostrato infatti un rischio del 20 per cento più basso di morte rispetto ai non volontari e livelli più bassi di depressione, un aumento della soddisfazione della propria vita e un sensibile miglioramento del proprio benessere.

@CristinaDaRold

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: Camdiluv, Flickr

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.