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Dove dimora la felicità?

La scienza è alla ricerca dei meccanismi e delle strutture cerebrali che ci rendono felici

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SPECIALE DICEMBRE – “Le persone si sentono felici quando decidono di esserlo”, diceva Abraham Lincoln per dire che la felicità di fatto è nella nostra mente.

È difficile definire e misurare la felicità, perché spesso assume una connotazione soggettiva. Se n’era accorto perfino Aristotele che indicò due vie attraverso le quali era posibile raggiungere la felicità: l’edonia che potremmo tradurre con il piacere, e l’eudaimonia che rappresenta la piena realizzazione di quella che è la propria vera natura. In parte questa suddivisione è arrivata fino ai giorni nostri, dando origine a vere e proprie correnti di pensiero, secondo le quali al piacere più materiale si potrebbe sostituire una felicità derivata da occupazioni più elevate.

Oggi però gli studiosi stanno iniziato a cercare una riconciliazione tra le due vie, andando a osservare le parti del cervello coinvolte nell’uno e nell’altro processo. Inoltre Kringerlbach e Berrildge hanno osservato che le persone che soffrono di assenza di piacere devono affrontare un ostacolo insormontabile per raggiungere qualsiasi altra fonte di felicità, a ulteriore dimostrazione che i due meccanismi sono strettamente collegati.

Le coordinate cerebrali della felicità

Come riassunto nel capitolo “the neurobiology of pleasure and happiness” i centri del piacere, della felicità sono sparsi in alcuni punti del nostro cervello più ancestrale, il cosìdetto sistema limbico: talamo, ippotalamo, amigdala e ippocampo sono le strutture cerebrali che ne fanno parte. I circuiti più recenti invece, quelli legati alle capacità cognitive, si trovano nel lobo orbito-frontale e latero-prefrontale, e nella corteccia cingolare anteriore e insulare.

La parte basale del cervello dà origine a una generica sensazione di positività o negatività. Invece la parte corticale renderebbe possibile una maggiore coscienza delle proprie sensazioni e la capacità di modularne l’impatto. La corteccia insomma è in grado di definire il sapore e il profumo di una sensazione positiva o negativa, aggiunge qualità a quello che avvertiamo. La codificazione del piacere sembra raggiungere il suo apice nella zona medio-anteriore della corteccia orbito-frontale, la sede del piacere soggettivo.

Le neuroscienze stanno cercando di rivelare alcune delle più complesse interazioni umane, ma ad esempio ancora non è chiara l’interazione tra il network cerebrale stimolato dai piaceri primari e la rete neurale legata a piaceri più alti come la musica, la danza il gioco e la felicità.

La felicità molecolare

La partita a favore della felicità non si gioca però soltanto a livello di strutture cerebrali: grande importanza hanno anche alcuni marker genetici o interazioni molecolari. Se restiamo a livello cerebrale, giocano un ruolo chiave i neurotrasmettitori  che vengono rilasciati nelle reti neurali. La felicità per esempio è associata a un rilascio di dopamina specialmente nella zona prefrontale, la stessa che è coinvolta nei processi di apprendimento, percezione, interazione sociale e motivazione.

Proprio per questo, secondo l’articolo pubblicato nel 2013 su Frontiers in Human Neuroscience, un umore positivo avrebbe effetti benefici anche sullla creatività, l’attenzione, l’abilità di risolvere problemi e le capacità cognitive in genere. Dagli esperimenti raccolti è stato possibile dimostrare che la flessibilità cognitiva ottimale è raggiunta quando si verifica il giusto rilascio di dopanmina. La cosa non si può generalizzare a tutti i casi di depressione o di malattia, ma pensare positivo e focalizzare l’attenzione o richiamare la memoria su esperienze piacevoli, oltre che rendere più frequenti i comportamenti sociali, aiuta anche ad aumentare la sensazione di felicità e benessere.

La felicità nei geni

Cosa più complicata è trovare i geni della felicità.  Bartels ha effettuato un primo studio nel 2010, individuando un’attività correlata alla felicità a livello del braccio corto del cromosoma 1 e del braccio lungo del cromosoma 19. Nel caso delle donne, giocherebbe un ruolo il gene della monoamina ossidasi, come rivelato dallo studio di Chen nel 2013.

Secondo Rietveld,  12 -18% delle variazioni nella risposta a una domanda che misura il benessere soggettivo, è legato a piccole varianti genetiche che influenzano la positività di una persona e che potrebbero essere ereditabili. Ma Rietveld è convinto che gli studi in questo senso debbano essere ulteriormente approfonditi: ad esempio, occorrerebbe includere nella ricerca della felicità “genetica” anche le reazioni  infiammatorie che vedono come protagoniste le citochine, o i circuiti neurali che vedono coinvolta la serotonina.

C’è dunque ancora molto da conoscere per orientare la nostra felicità, ma sembra che la scienza sia sulla buona strada per rendere il nostro futuro più felice.

@AnnoviGiulia

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: Allan Ajifo, Flickr

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Giulia Annovi
Mi occupo di scienza e innovazione, con un occhio speciale ai dati, al mondo della ricerca e all'uso dei social media in ambito accademico e sanitario. Sono interessata alla salute, all'ambiente e, nel mondo microscopico, alle proteine.