CULTURA

Alan Turing, fra storia e stereotipi

È appena uscito in Italia The imitation game, film che ripercorre la vita di Alan Turing, concentrandosi sul suo fondamentale contributo nella decifrazione dei codici criptati nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale e sulla sua omosessualità, per la quale fu condannato.

Quad_BC_AW_[26237] Imitation Game, TheCULTURA – Un eccentrico professore con qualcosa da nascondere, nell’Inghilterra degli anni Cinquanta. Un ragazzino tanto introverso quanto brillante nella scuola di Sherborne. Un geniale matematico che lavora con la Marina e i servizi segreti britannici a Bletchley Park, per decifrare i messaggi bellici nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale, criptati grazie all’apparentemente impenetrabile macchina Enigma.

Queste sono le tre finestre temporali raccontate in The imitation game, il film anglo-americano diretto da Morten Tyldum e scritto da Graham Moore, che narra alcuni degli eventi più salienti della vita di Alan Turing, brillante matematico inglese considerato il padre dell’informatica e dell’intelligenza artificiale, interpretato da un eccellente Benedict Cumberbatch.

Delle tre linee temporali, la storia si concentra soprattutto su quella ambientata durante la guerra e ci mostra Turing alle prese con l’ideazione del meccanismo automatizzato che permetterà di rivelare la cifratura con cui i tedeschi occultavano i loro messaggi. Un risultato che diede un considerevole vantaggio bellico agli Alleati e, secondo le stime degli storici, consentì di abbreviare la durata del conflitto di due-quattro anni. Il flash back e il flash forward vengono invece sfruttati per approfondire il tema dell’omosessualità di Turing, che nel 1952 lo porterà a un’accusa per oscenità – l’omosessualità è stata considerata un crimine in Inghilterra fino al 1967 – dalle tragiche conseguenze: costretto a scegliere fra la prigione e la castrazione chimica mediante trattamento con estrogeni, Turing, il cui fondamentale contributo nella vittoria della guerra era ancora coperto dal segreto di stato, optò per questa seconda opzione. Due anni dopo morì suicida, a soli 42 anni.

Tyldum e Moore scelgono di non entrare nel dettaglio dei processi teorici alla base della crittografia e si limitano a poche, semplici spiegazioni. Una scelta fortunata, poiché da un lato riesce a coinvolgere anche lo spettatore digiuno di basi matematiche e dall’altro evita di far ricorso alle spiegazioni pasticciate e farcite di formule che spesso affliggono molti film simili. Molta più attenzione viene dedicata alla figura di Turing, descritta secondo i canoni dello scienziato eccentrico e geniale, la cui singolarità e il cui grande talento lo rendono tanto prezioso per la società quanto in parte disconnesso da essa. Una disconnessione accentuata soprattutto nell’ambito dei rapporti sociali: il Turing di Cumberbatch ha infatti grosse difficoltà a relazionarsi con le altre persone ed esibisce comportamenti che rasentano l’autismo funzionale. Il suo essere arrogante, scontroso e ben poco accomodante si discosta dalla realtà storica, che ci parla invece di un Turing che aveva alcune solide amicizie, un certo senso dell’umorismo – nel film non è neanche in grado di raccontare una barzelletta decente – e un buon rapporto lavorativo con i colleghi.

Questa distorsione storica non è l’unica che caratterizza il film: anche la decrittazione dei codici usati dai nazisti viene infatti inquadrata in ben precisi canoni narrativi cinematografici e presentata con un taglio da film poliziesco. Il confronto con Enigma viene raccontato come un mistero con una singola soluzione, risolto da una altrettanto singola intuizione che consente a Turing di capire quale fosse il tassello mancante del puzzle ricostruito dal gruppo di Bletchley Park. Difficile non pensare al sopracciglio alzato di Jessica Fletcher a pochi minuti dalla fine di un episodio de La signora in giallo, dal quale si intuisce che il caso è appena stato risolto. Questo successo, nel film, viene attribuito al solo Turing e allo sparuto gruppo di suoi collaboratori, dimenticando che a Bletchley Park lavoravano migliaia di persone, il cui contributo fu comunque significativo. Raccontare la scienza non è facile, va detto, poiché spesso le tappe di una scoperta o di un’invenzione offrono pochi spunti di trama. Risolvere la questione con un’improvvisa illuminazione del protagonista è un espediente narrativo che di certo funziona, ma che semplifica troppo – e non di rado banalizza – un processo ben più complesso e affascinante.

Anche nel caso dei code-breaker di Bletchley Park la realtà è ben diversa: già nel 1938, infatti, i polacchi erano riusciti a decifrare buona parte dei messaggi cifrati tedeschi con una macchina cui lo stesso Turing si sarebbe poi ispirato, ma i nazisti intuirono che il loro sistema di cifratura era stato decodificato e apportarono delle migliorie a Enigma. Questo precedente indusse l’Inghilterra a sviluppare un approccio diverso, il cui scopo era di impedire ai tedeschi di capire che il loro codice era stato violato. Una strategia, questa, che nel film viene citata ma attribuita quasi interamente a Turing (è lui stesso a suggerirla al capo del servizio segreto britannico), di fatto accentuando ulteriormente la sua importanza nella vicenda e sminuendo, in maniera poco credibile, quella di tutto l’apparato militare che lo circondava. Apparato militare anch’esso ritratto secondo ben precisi archetipi, incarnati – pare con una certa libertà rispetto alla realtà storica – dal comandante Denniston (il Tywin Lannister di Game of Thrones), rigido, ottuso e di scarse vedute, che cerca in tutti i modi di opporsi a Turing e di allontanarlo da Bletchley Park.

Da tutte queste scelte narrative emerge chiara la direzione che Tyldum e Moore hanno scelto di dare al film, condensandolo intorno a una rappresentazione idealizzata e a tratti caricaturale di Turing, caricandone il peso sulle spalle di Cumberbatch. Un’operazione che pare confezionata su misura per la Notte degli Oscar e che, per il modo in cui sceglie di narrare la figura dello scienziato geniale, ricorda A beautiful mind, il film del 2001 con Russell Crowe a interpretare John Nash, o The theory of everything, che racconta la vita di Stephen Hawking uscito negli USA a fine 2014 e che in Italia uscirà il 15 gennaio.

The imitation game è un film piacevole, con qualche calo di ritmo ma mai noioso, che riesce a evitare certi toni retorici caratteristici dei biopic di scienziati geniali. Alcuni momenti, nonostante la loro prevedibilità, riescono a essere emozionanti e il protagonista in ottima forma si mangia da solo tutto il resto del cast. È anche un film la cui principale ambizione è fare incetta di Oscar e che per questo preferisce correre su binari sicuri e collaudati, giocando con il facile stereotipo dello scienziato geniale ed eccentrico ma socialmente impacciato (piegando la realtà storica per adattarla a questa narrazione), cercando a tutti i costi di affiancargli una figura femminile e mostrandolo come un ribelle in una società che non lo capisce.

Leggi anche: La teoria del tutto

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Condividi su
Michele Bellone
Sono un giornalista e mi occupo di comunicazione della scienza in diversi ambiti. I principali sono la dissemination di progetti europei, in collaborazione con Zadig, e il rapporto fra scienza e narrativa, argomento su cui tengo anche un corso al Master di comunicazione della scienza Franco Prattico della SISSA di Trieste. Ho scritto e scrivo per Focus, Micron, OggiScienza, Oxygen, Pagina 99, Pikaia, Le Scienze, Scienzainrete, La Stampa, Il Tascabile, Wired.it.