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Alimentazione: un’alleata contro il cancro al seno

Per ogni paziente e per ogni tumore c'è un regime alimentare adatto, che affiancato alla terapia aiuta non solo a sopportarla meglio ma a ridurre il rischio di recidiva

5098588856_c62bd29749_zAPPROFONDIMENTO – Il cancro al seno è la tipologia di neoplasia più frequente nel sesso femminile e la prima causa di mortalità per tumore: rappresenta il 29% di tutti i tumori che colpiscono le donne. Negli ultimi anni, a fianco alle terapie classiche con le quali viene trattato, si è fatta spazio un’attenzione particolare per l’alimentazione da seguire. Sia per le donne che stanno facendo la chemioterapia, in modo da renderla più sopportabile e aumentarne l’efficacia, sia per quelle che, concluso il ciclo di cura, tornano alla loro vita di tutti i giorni e devono limitare il rischio di una recidiva.

Da tempo è noto ai medici come un particolare regime alimentare possa essere un alleato importante nel trattamento dei tumori. Ne avevamo parlato qualche tempo fa, in relazione al ruolo della restrizione calorica nelle pazienti con tumore al seno. Sempre più studi osservativi, compresa una recente pubblicazione sul Journal of Nutrition Education and Behavior, confermano che le pazienti in cura che modificano (su preciso consiglio del nutrizionista) la propria alimentazione durante le terapie ne beneficiano, e possono contribuire a ridurre le probabilità che il tumore si ripresenti una seconda volta.

Per ogni paziente un regime alimentare

Anche in questo caso, nell’ottica di una medicina che è sempre più personalizzata, la chiave è l’unicità della paziente. Il suo percorso di vita, la sua diagnosi e la sua prognosi. Perché per ogni paziente -come anche per ogni tipologia diversa di tumore- viene studiato un preciso regime alimentare, che non rimane statico e immutato per tutta la durata delle cure ma varia durante i vari stadi della terapia e del tumore stesso. Di questa attenzione per l’alimentazione dei pazienti in cura (e dopo) abbiamo parlato con Alessandra Fabi, oncologa della Divisione di Oncologia Medica degli Istituti Fisioterapici Ospedalieri di Roma.

“Io tratto prevalentemente il tumore alla mammella, una neoplasia fortemente dipendente dall’assetto ormonale. Che, di conseguenza, richiede un’attenzione maggiore per lo stile di vita della paziente, anche e soprattutto per la sua alimentazione”, spiega Fabi. “Prendiamo per esempio la carne rossa: in alcune aree geografiche occidentali può essere molto ricca di estrogeni, e questo è un fattore di rischio per chi soffre di tumore alla mammella. Perché il 70% di questi tumori è ormone-dipendente, ovvero risente dello stimolo ormonale”.

Una caratteristica del tumore, questa, che viene individuata attraverso un esame istologico. E che prevede, in seguito, il blocco dell’attività ormonale. “Bisogna perciò fare attenzione a tutto ciò che fornisce un apporto estrogenico dall’esterno, come la carne, specialmente quella suina spesso ingrassata con sostanze ormonali. Ma anche ai farmaci come la pillola anticoncezionale e le terapie sostitutive per la menopausa”, spiega Fabi. Nei gruppi oncologici sta diventando sempre più importante la figura del dietista, o del nutrizionista, proprio perché alla terapia si affianca un percorso nutrizionale che deve essere il più personalizzato possibile.

Cosa mangiare?

“Alle mie pazienti io consiglio sempre la dieta mediterranea, perché è in generale la più completa e quella che fornisce il giusto apporto calorico tra proteine, zuccheri e grassi. In generale vanno eliminati alimenti come i formaggi stagionati, fritti e soffritti, sughi particolari, salumi con elevato apporto di grasso”, spiega Fabi. “Questo perché il grasso fa da substrato per gli estrogeni, si tratta di un vero e proprio letto sul quale agire e fa da supporto per lo stimolo ormonale. Nella dieta mediterranea  i grassi saturi sono molto ridotti”.

Il nutrizionista che lavora a fianco dell’oncologo si occupa di prendere tutte le misurazioni opportune per poter elaborare una dieta adeguata alla paziente, tenendo conto dell’assetto muscolare, del tessuto adiposo e dell’indice di idratazione cutanea. Quest’ultimo è particolarmente importante in quanto “il nostro corpo vive perché c’è l’acqua”, spiega Fabi. “Se viene meno l’apporto di acqua nella singola cellula questa andrà in catabolismo”. Ed è per questo che il nutrizionista controlla se lo strato cutaneo è idratato, valutando in particolare punti più tendenti alla disidratazione come le pliche del gomito e del collo. A tutti i pazienti viene raccomandato di bere molto, anche bevande ricche di sali minerali perché nelle terapie associate a diuretici o cortisone vanno perduti, e devono essere reintegrati.

“A vari nostri pazienti il nutrizionista ha dato una dieta più ricca di proteine e meno di glucidi, perché era adeguata per quella precisa fase storica del tumore”, commenta Fabi. “Un paziente con un tumore al polmone, ad esempio, tende a essere deperito. Durante la chemio seguirà un regime alimentare ricco in proteine e molto diverso da quello di una paziente con un tumore al seno, una tipologia di neoplasia che al contrario porta all’aumento di peso e della ritenzione idrica. Sono tumori molto diversi, perciò nel trattarli è necessario seguire regimi alimentari differenti”.

Durante la chemioterapia per il tumore alla mammella, perciò, capita anche che si aumenti un po’ l’apporto di carne di cavallo e bresaola, di lenticchie, spinaci e carciofi, tutti alimenti che contengono ferro. Specialmente per le pazienti anemiche. Ma senza esagerare, anche una volta conclusa la terapia, perché lì dove ci sono troppe proteine c’è lo stimolo proteico a riprodurre il DNA più del necessario.

Antiossidanti e nuove cellule

Se la carne (specialmente rossa) può quindi giocare svariati ruoli durante il decorso della malattia e durante il trattamento, gli antiossidanti giocano in generale a favore del malato. Aiutano a ridurre gli effetti collaterali della chemioterapia e il rischio di recidiva. Ma in che modo? “L’ossidazione è un momento del metabolismo chimico della cellula e gli antiossidanti, a partire dall’aloe, dal selenio e dalle bacche rosse, lo inibiscono. Bloccando perciò parte della replicazione della cellula tumorale”.

Tutta questa attenzione dal punto di vista della nutrizione è decisamente recente, e ha fatto il suo ingresso ufficiale nella prassi medica quando gli oncologi hanno osservato come i pazienti obesi fossero più a rischio anche dal punto di vista dell’aspettativa di vita; sia per il tumore mammario che per quello ovarico il body mass index (BMI), l’indice di massa corporea, sta diventando uno dei fattori più importanti. Più è elevato più è possibile che si riduca la sopravvivenza della paziente, o che aumenti il rischio di una recidiva.

Durante tutta la terapia l’alimentazione cambia più volte, perché lo stesso paziente vede variare di molto i suoi gusti proprio a causa del tumore. “L’altro giorno una paziente mi raccontava di come fosse molto ghiotta di dolci prima di iniziare la chemio, mentre ora quando li mette in bocca sente un sapore cattivissimo”, spiega Fabi. “La questione della carne, ad esempio, riguarda anche questo aspetto: non sappiamo ancora quale sia il motivo, ma durante la chemioterapia assume per i pazienti un sapore disgustoso”.

Il messaggio più importante che ne emerge è che ogni neoplasia ha bisogno di un diverso apporto nutrizionale. “Un paziente in trattamento ha bisogno di proteine o non sarà in grado di sostenere la terapia. Spesso capita che si aumentino le proteine nella dieta, perché la chemioterapia uccide le cellule. Se non le rimpiazziamo e non stimoliamo quelle sane ci sarà uno squilibrio tra quello che viene ucciso e quello che si riproduce fisiologicamente”, conclude Fabi.

@Eleonoraseeing

Leggi anche: Alimentazione e tumori. Cosa succede al pancreas?

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: JoséMa Orsini, Flickr

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".