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Esagerazioni scientifiche: di chi è la colpa?

Cure miracolose, terapie innovative: non sempre le notizie sono così eclatanti come sembrano, ma la responsabilità è anche degli istituti di ricerca

6923408938_12b461ee9b_zATTUALITÀ – Farmaci super-innovativi, terapie rivoluzione e tante, tante esagerazioni. Questo il filo conduttore di molti articoli giornalistici sulla scienza. Ma di chi è la colpa? Secondo un articolo, pubblicato sul British Medical Journal da un team di psicologi guidati da Petroc Sumner dell’Università di Cardiff, non si deve puntare il dito solo contro i giornalisti, ma anche contro le università.

Gran parte delle notizie giornalistiche su temi scientifici, specie quelli che riguardano la salute e la medicina in genere, sono ricche di forzature, esagerazioni e conclusioni che lasciano il tempo che trovano. Un buon giornalista dovrebbe essere in grado invece di raccontare le ricerche in maniera più imparziale e più corretta.

Viene quindi da pensare che la colpa sia tutta dei giornalisti, sempre alle prese con la necessità di catturare l’attenzione del pubblico. Lo studio in questione, invece, parte dall’idea che questa sia solo una parte del problema e che anche il mondo scientifico abbia le sue colpe.

Il gruppo di ricercatori ha quindi cercato di risalire all’origine delle interpretazioni “miracolose” o imprecise delle ricerche scientifiche e ha analizzato più di 450 comunicati stampa pubblicati nel 2011 dalle principali venti università del Regno Unito. Per poter fare un confronto, sono state inoltre studiate le pubblicazioni scientifiche originali utilizzate dai comunicati stampa e quasi 700 notizie pubblicate sulla stampa generalista che si rifacevano alle ricerche originali.

Il risultato è stato decisamente inaspettato: buona parte della troppa enfasi di molte notizie scientifiche va ricercata nei comunicati stampa che vengono pubblicati dagli stessi istituti di ricerca dove gli studi vengono svolti (e cioè anche dove avvengono le scoperte in questione).

“La nostra indagine ci ha sorpreso – ha dichiarato Sumner – più di un terzo dei comunicati stampa conteneva affermazioni iperboliche relative al lavoro scientifico di cui trattava”.

In particolare è stato visto che il 40% dei comunicati suggerivano al lettore consigli diversi da quelli riportati dagli studi e che il 36% faceva impropri paragoni tra ricerche effettuate su modelli animali e possibili applicazioni sull’uomo, ad esempio facendo intendere la “vicinanza” al trasferimento del farmaco o la terapia all’essere umano. Infine, non per importanza, un buon 33% dei comunicati parlava di legame causa-effetto anche se nello studio si menzionava la semplice correlazione: il fatto che due eventi aumentino insieme non significa affatto che un evento causi l’altro (questo fraintendimento è all’origine anche di tanti equivoci su temi scientifici delicati come i vaccini).

E gli articoli generalisti?

Lo studio fa una divisione interessante dell’analisi, cercando di capire quanto i giornalisti introducano nuove espressioni fuorvianti e quanto invece non riportino semplicemente quelle già presenti nei comunicati. Sì è quindi scoperto che le esagerazioni erano molto frequenti se la fonte di partenza erano comunicati “dopati” (58, 86 e 81% per le categorie elencate sopra), mentre le aggiunte fuorvianti erano decisamente basse in presenza di comunicati più neutri e obiettivi (17, 10 e 18% rispettivamente).

Questo significa che solo raramente è il giornalista a introdurre esagerazioni negli articoli su nuove ricerche, mentre rappresenta un prassi piuttosto comune nella stesura dei comunicati da parte di università ed enti di ricerca. E il motivo è semplice: vi è un’elevatissima competizione tra istituti e c’è necessità di far conoscere al grande pubblico le proprie attività, rendendole appetibili. Non si parla solo di visibilità mediatica e d’immagine, ma anche di vantaggi concreti: una ricerca ripresa da media generalisti ha molta più probabilità di essere poi citata nella successiva letteratura scientifica. Questo vuol dire più citazioni per gli autori e per la rivista e, dunque, più fondi e migliori prospettive di carriera.

I risultati dello studio, che hanno innescato grandi polemiche, sono limitati perché non si può parlare di relazione causa effetto tra le esagerazioni nei comunicati ed esagerazioni negli articoli giornalistici, ma rilevano un problema serio: i comunicati stampa degli istituti di ricerca e delle università, infatti, sono considerate fonti affidabili, spesso “validate” dagli stessi ricercatori.

Come limitare la diffusione di notizie pseudoscientifiche e di esagerazioni giornalistiche se le prime mistificazioni nascono proprio dalle fonti degli studi? Questo l’argomento centrale di un editoriale del medico e autore di libri Ben Goldacre, che ha cercato di dare qualche semplice linea guida per arginare il problema (approfondendo alcuni passaggi abbozzati nello studio in questione).

La filosofia di fondo è che è proprio il mondo accademico a poter invertire il trend con una migliore qualità dei comunicati: a cominciare dall’obbligo di firma dei comunicati e della citazione precisa dello studio originale cui fanno riferimento.

Dunque, le storpiature scientifiche non vengono solo dal mondo del giornalismo, ma anche da quello accademico. Ma questa situazione, seppur grave, non è inarrestabile e, anzi, è secondo gli stessi autori migliorabile.

@FedeBaglioni88

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: m01229, Flickr

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Federico Baglioni
Biotecnologo curioso, musicista e appassionato di divulgazione scientifica. Ho frequentato un Master di giornalismo scientifico a Roma e partecipato come animatore ai vari festival scientifici. Scrivo su testate come LeScienze, Wired e Today, ho fatto parte della redazione di RAI Nautilus e faccio divulgazione scientifica in scuole, Università, musei e attraverso il movimento culturale Italia Unita Per La Scienza, del quale sono fondatore e coordinatore. Mi trovate anche sul blog Ritagli di Scienza, Facebook e Twitter @FedeBaglioni88