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Gravidanza negata

Essere incinte e non saperlo: sembra strano, ma è possibile. Ecco quando e come può accadere, e con quali conseguenze

https://www.flickr.com/photos/43539900@N04/5938279216/sizes/z/GRAVIDANZA E DINTORNI – Si può diventare madri senza sapere che sta per succedere? Vivere una gravidanza senza accorgersene fino al momento del parto? Di tanto in tanto, le cronache riportano casi di donne che arrivano al pronto soccorso in preda a dolori addominali lancinanti e apparentemente inspiegabili, per finire di corsa in sala parto. Su Realtimetv c’è addirittura una serie su questo argomento. I più, però, si mostrano scettici: com’è possibile non sapere? Ignorare per mesi tutto il corredo di sintomi più o meno gradevoli della gravidanza, dalla nausea all’assenza delle mestruazioni, dai movimenti fetali all’aumento di peso? Via, si dice con un po’ di malizia, sarà semplicemente che la donna vuole nascondere il suo stato. «E invece no: si può davvero arrivare inconsapevoli al parto. Un fenomeno chiamato negazione della gravidanza, ben diverso dall’occultamento consapevole» chiarisce la psicologa Nadia Muscialini, responsabile del Centro antiviolenza dell’ospedale San Carlo Borromeo di Milano e autrice di un volume sulle maternità difficili.

A volte la negazione riguarda solo i primi mesi, in genere fino al quinto, quando si cominciano ad avvertire i primi movimenti del bambino: si parla allora di negazione parziale. Altre volte, invece, interessa tutta la gestazione, ed è detta completa. Non ci sono molti studi epidemiologici sul fenomeno, ma i dati pubblicati descrivono una situazione più frequente di quanto si potrebbe pensare: all’incirca un caso ogni 475 gravidanze per la negazione parziale e uno ogni 2500 per quella completa. Con conseguenze che possono essere molto gravi per la salute della mamma e del feto. Perché una gravidanza negata è anche una gravidanza trascurata, che spesso termina con un parto improvviso in ambienti inadeguati. Nella migliore delle ipotesi, tutta la vicenda comporta “soltanto” un avvio un po’ difficile del rapporto tra mamma e bambino, ma si può arrivare anche alla morte del piccolo, per complicanze del parto o per neonaticidio. Alla faccia degli happy ending televisivi.

Per molto tempo, si è pensato che le gravidanze negate riguardassero quasi esclusivamente donne molto giovani, alla prima esperienza, provenienti da un contesto socioeconomico disagiato, con disabilità intellettiva o una storia di disturbi psichiatrici alle spalle. Oggi, però, sappiamo che le cose non stanno proprio così. «Certo, la giovane età rimane un fattore di rischio importante: spesso la negazione interessa le adolescenti, tra i 13 e i 19 anni» sottolinea Muscialini. Invece, disabilità o disturbi psichiatrici non sono affatto la norma e anche lo status economico non è rilevante. Eppure, qualcosa in comune queste donne ce l’hanno. «Alla base del fenomeno c’è in genere qualche situazione traumatica – una violenza, un abuso, un ricatto da parte di un datore di lavoro – abbinata a una condizione di estrema emarginazione sociale e psicologica. Sono donne trascurate dal punto di vista emotivo, che non ricevono nessun tipo di supporto, nessuno sguardo empatico da parte del mondo che le circonda, che non sanno a chi chiedere aiuto. Donne che stanno malissimo e neppure lo sanno».

In un simile deserto emotivo, la negazione (della violenza sessuale, magari dell’incesto, e poi della gravidanza) diventa un potentissimo meccanismo di difesa che la mente mette in atto per allontanare sentimenti dolorosi troppo grandi da affrontare e da gestire. Un meccanismo che impedisce al corpo di percepire le sensazioni legate alla presenza di un feto in sviluppo o che spinge ad attribuirle a cause che niente hanno a che fare con la gravidanza. Se nei primi mesi ci sono nausee o malesseri particolari (e non è detto che ci siano), la donna, semplicemente, se ne dà altre spiegazioni. E per quanto riguarda le mestruazioni? «Spesso chi vive una negazione di gravidanza aveva già cicli irregolari e non presta attenzione a ritardi anche lunghi» spiega la psicologa. «Altre volte, possono verificarsi periodicamente  piccole emorragie che vengono scambiate per mestruazioni, anche se non lo sono».

E però, quando il parto si avvicina, come fare a non accorgersi della pancia? «Intanto, non è detto che sia davvero cresciuta molto. Anche tra le donne che non negano né nascondono la gravidanza, questa può non risultare particolarmente evidente. Per di più, chi non sa di essere incinta non si comporta di conseguenza e, per esempio, non cura la propria alimentazione e l’aumento di peso è minimo». Anche in questo caso, inoltre, vengono in aiuto “trucchi” della mente: magari si scelgono, sempre inconsapevolmente, abiti morbidi, “mascheranti” o posture che aiutano a nascondere la rotondità. Alcuni medici riportano che, una volta comunicata la notizia della gravidanza alla donna inconsapevole, la sua pancia diventa quasi immediatamente più evidente, forse perché vengono meno all’improvviso tutte le misure di autoprotezione.

«Diverso il caso dei familiari – genitori o compagni – che le stanno intorno» afferma Muscialiani. «Ci sono molti segnali dai quali potrebbero accorgersi che c’è qualcosa di strano, ma anche loro in qualche modo non vedono. O perché c’è un clima di trascuratezza generale, con poca comunicazione, poco ascolto, o perché anche loro non vogliono vedere».

Il problema è che, al di là del fortissimo disagio psicologico di cui è spia, questa situazione comporta rischi concreti per la salute della donna e del feto. Una gravidanza negata si svolge senza controlli, senza “buone abitudini” (dalla sana alimentazione all’astensione dal fumo o da medicinali che potrebbero essere pericolosi). E, come dicevamo, porta spesso a un parto solitario e improvviso che può essere un trauma fortissimo. Una review inglese sull’argomento sottolinea come le gravidanze negate abbiano spesso esito complicato o infausto, con ritardi di crescita o malformazioni fetali, parti prematuri, morte dei neonati. Che può avvenire per complicanze, per negligenza o trascuratezza durante il parto, se la madre è sola e sotto schock, o per uccisione. «Ma attenzione – avverte la psicologa – a non considerare queste donne come madri scellerate o assassine  determinate. Sono donne con un enorme disagio psichico, che hanno appena vissuto un evento fisico traumatico e che hanno bisogno di aiuto. Non a caso per il neonaticidio, cioè se l’evento si verifica entro 24 ore dal parto, la legge prevede attenunanti, riconoscendo la particolarità dello stato mentale del post partum».

Anche se tutto va bene, non sarà facile per queste donne, che non hanno avuto il tempo della gravidanza per cominciare a conoscere il proprio bambino e sviluppare un normale attaccamento,  tornare a casa con un figlio tra le braccia. «C’è chi decide di non tenere il bambino. Per fortuna, le tutele giuridiche che consentono il parto in anonimato sono un aiuto in questo senso. Per le altre, invece, è fondamentale il sostegno da parte degli operatori sanitari, per accompagnarle nel loro nuovo percorso di mamme».

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: mother.of.pearl/Flickr

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Valentina Murelli
Giornalista scientifica, science writer, editor freelance