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La lotta alla malaria deve passare (anche) dall’Europa

Sempre meno morti ma aumentano i contagi, con un crescente impatto sull'economia in via di sviluppo del Kenya. C'è ancora tanto da fare per raggiungere gli obiettivi del millennio

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APPROFONDIMENTO – L’andamento del primo grafico ha un aspetto rassicurante: nel corso degli ultimi dieci anni, in un grande paese africano come il Kenya, i decessi per malaria sono scesi passando dalle migliaia alle centinaia. Buona segno, perché significa che lo sforzo internazionale per combattere la malattia ha avuto un effetto positivo.

Il secondo grafico, al contrario, è preoccupante. Nello stesso periodo di tempo, infatti, i casi sono aumentati enormemente, arrivando a poco meno di un milione e mezzo nel 2012. I dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità non sono da prendere come una fotografia perfettamente a fuoco, perché l’aumento dei casi registrati è in parte sicuramente dovuto al miglioramento della capacità di raccogliere i dati stessi. Quello che conta, però, è che se in Kenya si muore meno di malaria, ci si ammala comunque frequentemente, lasciando aperto il capitolo degli impatti sulla società della malattia. E l’ombra della resistenza all’artemisina, la molecola oggi più efficace contro la malaria, si allunga in maniera preoccupante sul futuro.

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L’Anno Europeo per lo Sviluppo

L’Unione Europea ha deciso di dedicare il 2015 al tema dello sviluppo. Tra pochi mesi, inoltre, le Nazioni Unite annunceranno i programmi per il futuro della cooperazione internazionale post-Millennium Development Goals, la serie di obiettivi presi dalla comunità internazionale che scadono appunto quest’anno.

Quella del Kenya è una situazione emblematica dell’Africa, dove si registra la maggior parte dei decessi da malaria. Secondo i dati presentati al Parlamento Europeo da Elizabeth Juma del Kenya Medical Research Institute in occasione del workshop sull’eradicazione della malaria del 27 gennaio scorso, “le spese per la malaria rappresentano il 50% della spesa sanitaria delle famiglie kenyote”. Ecco l’impatto diretto su un’economia in sviluppo. La cui conseguenza è l’innesco di una spirale negativa tra povertà e malaria: la malattia colpisce le persone più povere, che si impoveriscono ancora di più per accedere alle cure, esponendosi ancora di più al rischio.

La malaria ha anche effetti negativi sul turismo, “che per il Kenya è la seconda fonte di guadagno”. Meno turisti, meno soldi che circolano nell’economia locale: un’altra spirale negativa innescata dalla paura della malattia. Una dimostrazione lampante che lo sviluppo dei paesi meno ricchi non può prescindere da un condizione di salute pubblica migliore, da un sistema sanitario capace di gestire le problematiche clinico-sanitarie, ma anche logistico-strutturali, legate alla malaria.

L’impegno dell’Europa

Ma che cosa significa per l’Europa impegnarsi nella lotta alla malaria? Nel presentare il programma dell’Anno Europeo per lo Sviluppo Linda McAvan, la presidente della Commissione Sviluppo del Parlamento europeo ha dichiarato che l’Unione Europea “può fornire un contributo importante in termini finanziari, ma anche di politiche e competenze”. Cioè: investire in progetti per migliorare la situazione? Secondo Veronique Lorenzo, capo dell’Unità Educazione, Salute, Ricerca e Cultura del Direttorato Generale per lo Sviluppo e la Cooperazione (DGDEVCO) della Commissione Europea, tutti sono d’accordo che “c’è un lavoro da finire rispetto agli obiettivi del millennio”. E quindi la necessità di continuare a investire. Ecco quindi che si citano i 66 miliardi di euro che nel programma Horizon2020 finanziano ricerca su temi legati allo sviluppo.

Ma c’è anche il bisogno di rivedere almeno in parte l’approccio. Importantissimo investire in ricerca e sviluppo per nuovi farmaci che ci permettano di essere un passo avanti alla farmacoresistenza, ma bisogna ragionare “in termini di sistemi sanitari sostenibili”. Che tradotto significa non attaccare una malattia come fosse un problema isolato, ma “ragionare oltre le singole patologie”. Insomma, in parte è il vecchio detto: “meglio insegnare a pescare, che donare il pesce”.

Sostenibilità è anche la parola chiave usata da altri due speaker all’evento del 27 gennaio: David Reddy, amministratore delegato di Medicine for Malaria Venture, una no profit che mette in contatto privati e istituzioni pubbliche per raccogliere fondi e realizzare progetti nella lotta alla malaria, e Linus Igwemezie, vicepresidente e direttore della Novartis Malaria Initiative. Sostenibilità che significa che l’intervento non deve essere assistenzialista, ma il motore di un cambiamento che permetta poi ai singoli paesi di gestire i progetti autonomamente. Ma vuol anche dire che bisogna continuare a investire in innovazione, in modo da abbattere i costi per la produzione dei farmaci e rendere gli interventi sempre meno pesanti sul fronte economico. Economicità che non dovrebbe significare aumentare i profitti, ma favorire l’accesso.

Post 2015

Nonostante nell’ultimo decennio il tasso di mortalità della malaria in Africa sia sceso del 54% dal 2000 al 2013 (secondo il Malaria Report dell’OMS) la situazione rimane comunque pesante. Nel solo 2013 la stima parla di 584.000 decessi, con una distribuzione che vede svantaggiata soprattutto il continente nero e l’Indonesia.

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Secondo Veronique Lorenzo la strada che l’Europa deve percorre è quella di un maggior coinvolgimento dei cittadini. Renderli consapevoli di che impatto hanno gli investimenti fatti con i soldi pubblici europei nella lotta alla malaria. Raccontare che cosa significa per lo sviluppo di una comunità liberarsi del giogo della malattia. E non far passare sotto traccia che in un mondo interconnesso come quello di oggi la distanza dell’Europa dal Kenya non basta più per metterci al riparo, come ha mostrato il caso delle Molinette di qualche settimana fa. Insomma, la malaria (come ebola) riguarda anche noi europei.

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: US Army Africa, Flickr

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Marco Boscolo
Science writer, datajournalist, music lover e divoratore di libri e fumetti datajournalism.it