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No, non sei stonato. Devi studiare

Un nuovo esperimento suggerisce che non è vero che il canto non è per tutti. A cantare si impara, così come a suonare il pianoforte

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RICERCA – Secondo una nuova ricerca condotta da un team della Northwestern University, cantare sarebbe un po’ come suonare: c’è chi nasce con un vero e proprio talento, e chi semplicemente con un interesse, un po’ di attitudine e una caterva di ore di studio, diventa un ottimo musicista. Che sia l’esercizio che fa lo strumentista è cosa nota, ma meno noto è che possa accadere lo stesso anche per il canto. Secondo questo nuovo studio pare invece che anche cantare sia un’abilità che matura con l’esperienza. C’è speranza, pare, anche per chi di noi si è sempre sentito appioppare l’etichetta di “stonato”.

Potremmo dire che il nocciolo del saper cantare è far sì che i nostri vocalizzi rimangano all’interno della stessa chiave, esattamente come accade quando suoniamo una composizione. Quello che lega insieme le sette note in chiave di do, cioè do re mi fa sol la si, sono infatti i rapporti fra di esse: tra la prima nota e la seconda della stessa chiave deve esserci un tono, così come fra la seconda e la terza nota. Passando alla quarta invece il rapporto è dimezzato e si parla di semitono, fra quarta e quinta e quinta e sesta altri due toni e infine, fra sesta e settima un altro semitono. Un marchingegno sottile e perfetto che sostiene tutta la musica, dalla melodia, che è quella che noi possiamo cantare, all’armonia, che è l’insieme di tutte le linee melodiche che unite compongono le canzoni che amiamo.

Ebbene, secondo i ricercatori cantare in chiave non è solo una virtù innata, ma si può imparare. Lo studio, in pubblicazione su Music Perception, ha confrontato le abilità canore di tre gruppi: il primo composto da bambini della scuola materna, il secondo da ragazzi delle scuole elementari e il terzo da giovani universitari. Il primo dei test chiedeva loro di ascoltare quattro volte lo stesso brano e poi provare a cantarlo, mentre un secondo test chiedeva di cantare a certi intervalli e alla fine a ogni volontario veniva dato un voto.
I risultati ottenuti hanno mostrato, secondo i ricercatori, un miglioramento netto dell’esattezza della riproduzione del brano ascoltato, dall’asilo via via crescendo con l’età, quando ai bambini cominciano a essere impartite le prime lezioni di musica. Tuttavia, il gruppo degli adulti rivela un trend opposto: le abilità canore sono in media di qualità molto inferiore rispetto a quelle degli altri due gruppi, composti da persone in età scolare.
In generale i ragazzi del gruppo medio cantano quindi molto meglio rispetto sia agli adulti che ai bambini più piccoli. Rimane però non studiato il gruppo intermedio, quello cioè dai 12 ai 18 anni, che invece è un periodo particolarmente formativo, perché è il momento in cui le voci cambiano e non sono in molti a seguire per propria scelta dei corsi di musica.

Un altro problema che hanno incontrato i ricercatori è la mancanza di una definizione comune e scientifica di “bel canto”. A rispondere a questa esigenza ci hanno pensato però gli stessi scienziati, Steven Demorest, docente di educazione musicale presso la Northwestern’s Bienen School of Music, e Peter Pfordresher, direttore dell’Auditory Perception and Action Lab all’Università di Buffalo, che hanno messo a punto una misurazione online della precisione del canto. Lo strumento si chiama Seattle Singing Accuracy Profile (SSAP), ed è in grado di standardizzare il modo in cui il canto viene misurato in modo che i ricercatori possano confrontare i risultati e dipingere uno scenario più chiaro sulle cause di un canto non preciso. “Prima di tutto abbiamo bisogno di capire che cosa è normale per un bambino di 5 anni o di 10 – afferma uno degli autori dello studio – e solo dopo possiamo identificare le aree dove i bambini sono più deboli e aiutarli finalmente a superare le proprie incertezze e a migliorare.”

@CristinaDaRold

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.
Crediti immagine: Liza, Flickr

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.