ricerca

Donazione di mitocondri: il Regno Unito dice sì

Da ottobre sarà possibile creare embrioni con materiale genetico proveniente da tre persone.

http://de.wikipedia.org/wiki/In-vitro-Fertilisation#mediaviewer/File:ICSI.jpg

GRAVIDANZA E DINTORNI – È fatta: dal prossimo 29 ottobre, il Regno Unito sarà il primo paese al mondo a consentire la donazione di mitocondri, gli organuli che rappresentano la centrale energetica della cellula, nell’ambito di tecniche di fecondazione in vitro. Il primo parere positivo era arrivato all’inizio del mese dalla Camera dei Comuni e ieri sera, dopo un lungo dibattito, anche la Camera dei Lord ha approvato la procedura, con 280 voti favorevoli e 48 contrari. Grazie a un emendamento alla legge che regolamenta la riproduzione assistita, lo Human Fertilisation and Embryology Act del 2008, probabilmente già nel 2016 vedranno la luce i primi bambini “figli di tre genitori” o, meglio, con materiale genetico proveniente da tre persone. Bambini che, grazie a questa insolita triangolazione, potranno nascere sani, senza la pesantissima eredità di qualche malattia genetica che avrebbero potuto ricevere dalla mamma proprio tramite i mitocondri. E in attesa dei primi fiocchi rosa o azzurri, vale la pena di celebrare la notizia, frutto di una lunga storia fatta di ricerca scientifica, di impegno civile, e anche di abili strategie di comunicazione.

Mitocondri e malattie
Ognuno di noi possiede due tipi di DNA. Il più famoso è quello dei cromosomi contenuti nel nucleo, ma ce n’è anche un altro: il DNA dei mitocondri, gli organuli deputati alla produzione di una molecola chiamata ATP, la benzina della cellula, il carburante necessario per le sue attività. È un DNA piccolo, che comprende solo 37 geni (quelli nucleari sono circa 20-22 mila), tutti coinvolti nel meccanismo di produzione dell’ATP. Anche se minuscolo, però, è un DNA importantissimo, perché mutazioni nella sua sequenza possono provocare malattie anche molto gravi.

Ora, il DNA nucleare lo ereditiamo fifty-fifty dai nostri genitori, metà dalla mamma e metà dal papà. Quello mitocondriale, invece, viene sempre dalla mamma, perché è la cellula uovo a fornire i primi mitocondri allo zigote, quelli dai quali deriveranno, per successive divisioni, tutti i mitocondri del bambino. La maggior parte dei mitocondri del papà, infatti, è contenuta nella coda dello spermatozoo, che rimane fuori dalla cellula uovo. Anche i pochi che riescono a entrare vengono eliminati. Quindi, se il DNA mitocondriale di mamma è normale, tutto bene, ma se presenta mutazioni, queste passano ai figli (e vengono trasmesse di figlia in figlia).

Il quadro è complicato dal fatto che non sempre mutazione significa malattia. Il punto è che ogni mitocondrio non contiene una sola copia del proprio DNA, ma varie centinaia di copie e solo alcune possono essere colpite da mutazioni dannose. Quindi, ogni cellula e ogni tessuto contengono in questo caso due “popolazioni” di DNA mitocondriale: una normale e una mutata (gli esperti parlano di eteroplasmia): in genere, solo quando la percentuale di questi genomi mutati supera una certa soglia critica compaiono le malattie.

“Stiamo parlando di un gruppo eterogeneo di malattie con manifestazioni molto variabili e che colpiscono vari organi, ma in particolare muscoli e cervello, i più avidi di energia” spiega Barbara Garavaglia, direttore dell’Unità operativa di neurogenetica molecolare dell’Istituto neurologico Besta di Milano. “Le forme più gravi, spesso fatali, sono quelle che si manifestano già alla nascita o nei primi mesi di vita, per esempio come cardiomiopatie o encefalomiopatie. Forme relativamente meno gravi danno sordità o cecità, anche da adulti. Inoltre possono essere coinvolti fegato, reni, apparato gastrointestinale”.

Nel complesso non sono affatto malattie rare, perché possono colpire uno ogni 400 nati circa. Per fortuna, le forme più gravi sono meno frequenti, ma sono anche pesantissime da sopportare per i pazienti e per le famiglie, che possono vedere i loro figli morire nei primissimi anni di vita. Cure non ce ne sono, a parte qualche intervento palliativo. Finora, le uniche strategie possibili per evitare la nascita di bimbi malati erano la diagnosi prenatale o la diagnosi genetica preimpianto (per altro in Italia non consentita per le coppie fertili). Entrambe, però, hanno grossi limiti, perché l’eteroplasmia rende difficile fare previsioni abbastanza sicure. Da qui l’idea della donazione.

La via della donazione
Sulla carta, il principio è abbastanza semplice: se i mitocondri di mamma sono malati, perché non sostituirli con quelli di un’altra donna, che siano invece sani? Anche dal punto di vista tecnico il problema è facilmente risolvibile:  si prende la cellula uovo di una donatrice con organuli normali, si toglie il nucleo e lo si sostituisce o con il nucleo della mamma, ancora da fecondare da parte degli spermatozoi di papà, o con il nucleo appena fecondato. Risultato: un embrione che avrà il genoma nucleare derivato da mamma e papà (come sempre accade) e quello mitocondriale derivato da una terza persona. Sono esattamente queste le strade battute ormai da vent’anni dal gruppo di ricerca di Doug Turnbull, direttore del Wellcome Trust Centre for Mitochondrial Research della Newscastle University e principale sostenitore della modifica alla legge appena approvata dal Parlamento inglese.

L’obiettivo, nella sua mente, è sempre stato chiarissimo: offrire alle famiglie in cui c’è il rischio di gravi malattie mitocondriali la possibilità di concepire figli sani. Di evitare ai loro bambini una vita, spesso molto breve, piena di sofferenza. In una lettera pubblicata sul New England Journal of Medicine, Turnbull ha anche fatto una stima di quante potrebbero essere nel Regno Unito le donne in età fertile potenzialmente a rischio di trasmettere malattie mitocondriali, e cioè circa 2500. Secondo i suoi calcoli, la nuova tecnica potrebbe interessare circa 150 nascite all’anno. “E probabilmente sono altrettante in Italia”, commenta Garavaglia.

Tutte le paure per l’embrione GM
Arrivare all’approvazione dell’emendamento, però, non è stato facile. Ci sono voluti dieci anni di dibattiti, discussioni, opposizioni, campagne di comunicazione e consultazioni popolari per conoscere le opinioni della gente. Tre i principali punti critici sollevati, in particolare da rappresentanti religiosi, che negli ultimi mesi hanno condotto una campagna serrata prima contro l’ipotesi di una discussione parlamentare e poi contro il voto a favore della modifica.

Primo: il fatto che i bambini ottenuti a partire da questa tecnica di fatto contengono materiale genetico proveniente da tre persone diverse, una condizione ritenuta decisamente “innaturale”,  Il dato è innegabile, ma forse giova ricordare che il DNA mitocondriale è davvero una piccolissima parte del genoma complessivo dell’individuo (meno dello 0,2%) e che questo DNA è implicato in funzioni operative, quasi meccaniche, mentre non ha niente a che vedere con la definizione dei tratti che contribuiscono a definire l’individualità, come l’aspetto fisico o la personalità. Al di là dei titoli giornalistici, è davvero difficile attribuire alla donatrice di mitocondri lo status di vero “genitore”.

Secondo: la paura è che consentendo, per quanto in un caso particolare, la modificazione genetica dell’embrione, si finisca su una china scivolosa, che potrebbe portare a modificare anche il DNA nucleare. Altra possibilità “innaturale” e per di più con lo spettro della deriva eugenetica alle spalle. Terzo: stiamo sempre parlando di tecniche provate finora solo in laboratorio o su qualche primate. Come possiamo sapere che non abbiano conseguenze sulla salute dei bambini nati in questo modo?

“Qualche margine d’incertezza c’è, come sempre quando si tratta di medicina” commenta Andrea Borini, presidente della Società italiana di fertilità e sterilità. “Però al momento questa è l’unica possibilità concreta per evitare certe terribili malattie e tutta la sperimentazione fatta finora è confortante. Del resto, non ci pensiamo mai, ma anche con i farmaci l’ultima vera sperimentazione, quella definitiva sui grandi numeri, la si fa solo quando arrivano sul mercato”. Senza contare che in realtà qualche bambino nato con i mitocondri di un’altra donna al mondo c’è già. “Sono bambini nati alla fine degli anni novanta negli Usa o in Giappone a seguito di procedure di fecondazione in vitro, che nel caso di aspiranti madri sopra i 40 anni prevedevano anche l’iniezione nella cellula uovo del citoplasma di una donatrice più giovane” spiega Borini. “La tecnica è stata poi bloccata proprio per le questioni etiche legate al DNA mitocondriale, ma intanto quei bambini per ora stanno bene”.

L’importanza della comunicazione
Oggi, comunque, gli scienziati inglesi sono in festa. Nell’entusiasmo, si ricorda anche il grosso ruolo giocato nella conquista del risultato dall’assiduo impegno di comunicazione, che ha visto al centro della scena proprio il pioniere della tecnica Doug Turnbull. Da ricercatore schivo, riservato, magari anche un po’ infastidito dai flash dei fotografi e dalle domande dei giornalisti, Turnbull negli anni ha saputo trasformarsi in un vero personaggio mediatico, sempre pronto a rilasciare interviste, a partecipare a dibattiti, a rispiegare incessantemente le stesse cose, nel suo modo chiaro e pacato. Attorno alla sua figura si è raccolta nel tempo tutta la comunità di scienziati, comunicatori, pazienti e associazioni che ha sostenuto la richiesta di modifica alla legge, facendola approdare in Parlamento. “L’evoluzione di Turnbull ci insegna è quanto importante per gli scienziati riconoscere che impegnarsi per il coinvolgimento pubblico non è solo una cosa giusta da fare, ma anche una cosa utile per la scienza” ha scritto Mark Henderson, responsabile comunicazione del Wellcome Trust, con la mente già rivolta ad altre battaglie mediatiche, come quella sui vaccini.

E a proposito di buona comunicazione, anche le istituzioni ci hanno messo del loro. Date un’occhiata alla nota ufficiale  sulla donazione mitocondriale pubblicata sul sito del parlamento (in inglese): 40 pagine di un rigore e di una chiarezza davvero esemplari.

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: Eugene Ermolovich (CRMI)

Condividi su
Valentina Murelli
Giornalista scientifica, science writer, editor freelance