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La scienza che studia le risate

Ridere fa bene, ci aiuta a socializzare e a svelare dettagli personali. Il nostro cervello sa anche distinguere se una risata è finta o genuina, e risponde di conseguenza

6851848569_a3006910b4_zAPPROFONDIMENTO – A molti di noi è capitato, anche più di una volta, di finire per parlare con degli sconosciuti di questioni piuttosto personali. Dalla famiglia fino alla salute, o a faccende quotidiane che magari difficilmente mettiamo nero su bianco in una chiacchierata a tavola con genitori o compagni/e. A febbraio ne scriveva anche il giornalista del Guardian Oliver Burkeman (qui il pezzo su Internazionale) rifacendosi agli studi del sociologo di Harvard Mario Luis Small.

Se già la questione di per sé è interessante -e ognuno di noi può ragionare su quali sono i motivi che lo spingono a snocciolare segreti con gli sconosciuti in treno ma a tacerli poi con i più intimi amici- sull’ultimo numero di Human Nature tre ricercatori dello University College London indagano su un elemento specifico che ci porta a confidarci più facilmente, senza quasi rendercene conto. Si tratta della risata.

Alan W. Gray, Brian Parkinson e Robin I. Dunbar hanno scelto 112 studenti universitari dalla Oxford University e li hanno divisi in tre gruppi, ognuno dei quali ha guardato un video diverso. Per il primo gruppo si trattava di un divertente spettacolo del comico Michael McIntyre, per il secondo di una lezione per imparare a giocare a golf -non così strano, su Groupon trovate video-corsi anche per imparare a fare massaggi- mentre il terzo gruppo guardava un documentario della serie Planet Earth della BBC, Jungles.

Terminata la visione i tre scienziati hanno preso nota dello stato emotivo di tutti i partecipanti e chiesto poi, a ognuno di loro, di scrivere un biglietto per un altro studente. In questo biglietto dovevano presentarsi e scrivere qualche riga per raccontare se stessi, condividendo informazioni a loro discrezione. Confrontati tutti i biglietti, è venuto fuori che chi aveva guardato il video divertente insieme ai compagni (tutti appena conosciuti) e si era fatto una risata con loro aveva condiviso informazioni molto più personali, raccontando di sé ben oltre il cibo o il film preferito.

Niente a che vedere con il magico potere della risata, perché il motivo non si limita all’aver condiviso un momento piacevole di fronte a uno spettacolo comico: colpevole di tutta questa condivisione, secondo i tre ricercatori, è il rilascio di endorfina sprigionato ridendo. E la cosa ancor più interessante è che a rendersi conto di quanto intime o comunque personali fossero le righe sui biglietti non è mai stato chi le aveva scritte, ma il ricevente. Insomma, dopo aver riso in compagnia chiacchieriamo parecchio, e senza rendercene conto.

Solletico, finzione, spontaneità

Tra l’altro la complessità della rete cerebrale si occupa di interpretare le risate è ben oltre quella che potremmo immaginare. D’altronde di risate ce ne sono parecchie: quella divertita, quella finta, quella di quando ci fanno il solletico ma anche quella di quando prendiamo in giro qualcuno, in maniera simpatica ma anche no. E il nostro cervello lo sa bene. Ad esempio “ridere di qualcuno o ridere con qualcuno porta a conseguenze sociali diverse”, spiega Dirk Wildgruber, autore di una ricerca su PLoS ONE su come le risate modulino in modi molto differenti la connettività cerebrale. E dando un’occhiatina nella nostra testa, il meccanismo è evidente: le regioni sensibili al processamento di informazioni sociali complesse si attivano quando ascoltiamo le risate felici e spontanee, ma non se sentiamo qualcuno sghignazzare perché subisce il solletico.

Anche se quella causata dal solletico è una risata più complessa delle altre, ma a livello acustico. E quando la sentiamo nel nostro cervello si attivano aree specificamente sensibili a questa complessità. Modifiche dinamiche, che attivano e mettono in relazione regioni diverse proprio in base alla tipologia di risata che ascoltiamo, e che possono avere un impatto sulle funzioni cognitive. Che succede invece quando una risata è proprio finta?

Nel 2014, in corrispondenza dell’International Happiness Day (che quest’anno cadeva venerdì scorso, mentre noi stavamo col naso all’insù a osservare l’eclissi, o in giù a goderci la primavera nei prati; o ancora, in giù a curare le dita tagliate col vetrino per guardare l’eclissi) usciva lo studio di un team londinese su come il nostro cervello non si faccia turlupinare da qualcuno che ride per finta. Ascoltando questo tipo di risate, infatti, si attivano aree cerebrali diverse, legate alla comprensione degli stati emotivi altrui. E se vi siete mai domandati se siete abbastanza credibili quando fingete di divertirvi moltissimo a una barzelletta triste, la risposta è: nì, in media ci si riesce poco più di una volta su tre.

@Eleonoraseeing

Leggi anche: Che misura ha la felicità?

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: Francisco Osorio, Flickr

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".