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Eutanasia e veterinari: è giungla

Se sul tema dell'eutanasia c'è ancora grande incertezza e il campo veterinario non è da meno. Manca ancora una legge dettagliata

4714322021_cc10307758_zAPPROFONDIMENTO – Il 19 febbraio OggiScienza ha pubblicato un articolo scritto da Eleonora Degano sulla posizione dei medici in relazione all’eutanasia. Ciò che si evince è che, in Italia, c’è ancora una spaccatura tra quello che vuole gran parte della popolazione – in genere in linea con il pensiero dei medici – e la legge per l’eutanasia legale, che sta ancora «in stallo in qualche polveroso cassetto parlamentare. Che non sembra volersi aprire troppo presto». Mentre ci sono Paesi che hanno già preso coraggiosamente una posizione pro-eutanasia.

Per quel che riguarda il campo veterinario, invece, in materia di legge c’è la giungla assoluta. Paradossalmente in Italia gli animali sembrano passarsela meglio che in altri Paesi, anche europei, ma in realtà la situazione è ben lungi dall’essere accettabile. In molti Paesi europei, come la Spagna o la Croazia, gli animali trovati vaganti (che siano randagi o semplicemente “persi”) sono trattenuti in canile per una manciata di giorni; in seguito, se nessuno li reclama, è praticata l’eutanasia.

Anche per animali completamente sani e per i cuccioli. In Italia non è legale utilizzare l’eutanasia in questo modo. Su questo, la legge quadro in materia di animali (Legge 281 del 14 agosto 1991) è chiara: «I cani vaganti ritrovati, catturati o comunque ricoverati presso le strutture […] non possono essere destinati a soppressione». Eppure le disposizioni sono ancora troppo vaghe. O meglio, sono chiari i modi in cui, nell’eventualità, un animale può essere ucciso, ma è altrettanto evidente che la scelta di farlo o meno stia al giudizio del veterinario, che, almeno in parte (spesso in buona parte), dipende dalla richiesta del proprietario.

Nella Convenzione Europea per la protezione degli animali da compagnia, siglata a Strasburgo, si legge che «ogni uccisione deve essere effettuata con il minimo di sofferenze fisiche e morali in considerazione delle circostanze. Il metodo prescelto, tranne che nei casi di urgenza, deve sia indurre una perdita di coscienza immediata e successivamente la morte; sia iniziare con la somministrazione di un’anestesia generale profonda seguita da un procedimento che arrechi la morte in maniera certa.[…] vietata […] l’utilizzazione di qualsiasi veleno o droga di cui non sia possibile controllare il dosaggio e l’applicazione in modo da ottenere gli effetti di cui sopra». Il documento però non è vincolante e, come spesso accade, sono ben poche le possibilità di effettivi controlli affinché nei canili di tutta Europa l’eutanasia avvenga effettivamente in queste condizioni.

Un problema di “necessità”
Quali siano le situazioni in cui è concessa l’eutanasia per gli animali in Italia – problema annoso in veterinaria proprio perché non si tratta, ovviamente, di un suicidio assistito, ma di causare la morte a un essere che non l’ha richiesta –  lo dice, ben poco dettagliatamente, la legge 189/04, che vieta qualsiasi uccisione provocata per crudeltà o senza necessità. Certo, definire la “necessità” resta un po’ vago.
La decisione su quello che può essere necessario o non necessario rimane a giudizio del singolo veterinario. Il che si traduce in  “ognuno fa quello che gli pare”, o anche in “nessuno sa bene che cosa fare”.

«In realtà quasi possiamo dire che non c’è norma – sostiene Giampaolo Peccolo, professore di legislazione veterinaria all’Università di Bologna – perché il reato descritto è esclusivamente l’uccisione per crudeltà o senza necessità. In effetti è stato quasi creato un reato assurdo, perché pensiamo a una mosca: è necessario schiacciarla? È chiaro che, anche se letteralmente è una norma che vale per qualsiasi animale, è stata pensata per gli animali di affezione, ma anche in questo caso il tema principale è quello della necessità. Ma cos’è veramente la necessità? Anche l’animale incurabile non è necessariamente un essere da sopprimere, perché la possibilità di tenere sotto controllo una malattia incurabile può dipendere anche dal proprietario, dal tempo che ha a disposizione e dalle possibilità economiche».

La Circolare esplicativa n. 9/92 del Ministero della Sanità ribadisce che si può ricorrere all’eutanasia solo se l’animale è gravemente malato, incurabile o di comprovata pericolosità. Ma definire quando un malato possa essere considerato incurabile, sia dal punto di vista fisico che psicologico, è davvero troppo arduo, in molti casi.

E la stessa vaghezza si può applicare alla pericolosità. «Ciò che può essere pericoloso in una casa con bambini – prosegue Peccolo – magari non lo è affatto in campagna o anche in una casa senza bambini». Ed è qui che scatta la discrezionalità del professionista. Può decidere di fare da poliziotto e scavare nella vita di una famiglia, magari decidendo che l’aggressività di un animale è dovuta al loro ambiente e alla loro educazione? «Il veterinario non è tenuto a farlo – chiarisce il professore – lui deve registrare, prendere atto della richiesta del proprietario, che è il suo cliente, e, a meno che non decida di obiettare, è costretto a praticare l’eutanasia. Perché lo stato di necessità è autodichiarato dal cliente. Manca sicuramente un criterio oggettivo».

Benessere del proprietario o dell’animale?
Anche quando un medico (per esseri umani) fosse chiamato a scegliere se praticare l’eutanasia su una persona non più capace di pensiero, dovrebbe comunque farlo sulla base della sua anamnesi e solo nell’interesse del malato, non nell’interesse della famiglia, che non ha più voglia di curarlo. E qui sta la questione più spinosa: paradossalmente il codice deontologico dei veterinari mette al primo posto il proprietario, non l’animale. Già dal primo articolo è chiaro chi sia il tutelato: «[il medico veterinario] dedica la sua opera alla protezione dell’uomo dai pericoli e danni a lui derivanti dall’ambiente in cui vivono gli animali, dalle malattie degli animali e dal consumo delle derrate o altri prodotti di origine animale». Solo successivamente «alla prevenzione, alla diagnosi e alla cura delle malattie degli animali e al loro benessere». Il cliente, in sostanza, è il proprietario, e i primari interessi da tutelare sono i suoi. Motivo per il quale i proprietari si sentono liberi di rivolgersi al veterinario per far sopprimere un animale con presunte accuse di aggressività, che possono essere ritenute valide dal veterinario. E rientrare in quella “necessità” richiesta dalla legge.

Basta il buon senso?
Questa vaghezza della legge italiana si traduce in una mancanza di parametri oggettivi e in una notevole difficoltà per i veterinari onesti di poter decidere. C’è comunque chi decide di non seguire passivamente le richieste dei proprietari. Ci sono veterinari che hanno scelto di essere obiettori, ma non c’è ancora un gruppo riconosciuto. «Al momento, anche se mancano criteri obiettivi nella legge – conclude Peccolo – io non credo si possa parlare di una vera emergenza. È vero che per ora non sono previste ulteriori precisazioni alle norme che abbiamo, ma si sta discutendo di altri temi fondamentali, sui quali si parla sempre poco, come la possibilità di creare il reato di uccisione della fauna selvatica. Mancano ancora tutele su altri temi del benessere animale, come per esempio sulla questione dei polli in batteria. In questo caso, io mi appellerei ancora al buon senso. Anche se c’è un parziale vuoto normativo, forse una norma potrebbe non servire. Perché contro l’immaturità etica non c’è norma che tenga».

Tutto andrebbe liscio con un po’ di buon senso, quindi, ma possiamo veramente affidarci solo a quello? C’è chi ha deciso di chiarire la sua opinione fin dall’ingresso nel suo ambulatorio per clienti con richieste assurde, e sono, forse, esempi come questo che ci fanno intuire una notevole carenza di buon senso nella gente. Ve lo ricordate? Il cartello del dottor Alessio Giordana ha fatto il giro del web qualche tempo fa. Era il suo chiaro “no” proprio a effettuare eutanasie “facili” laddove non sussistano seri e comprovati motivi medici da lui osservati. No alle richieste che non abbiano fondamento medico, che siano nate dai problemi tra gli animali di casa e «divani, caviglie, soprammobili, ferie, mariti allergici». Non saremo troppo “immaturi” anche per saper usare il buon senso?

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Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Credit Immagine: Ian Phillips, Flickr

 

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Sara Stulle
Libera professionista dal 2000, sono scrittrice, copywriter, esperta di scrittura per i social media, content manager e giornalista. Seriamente. Progettista grafica, meno seriamente, e progettista di allestimenti per esposizioni, solo se un po' sopra le righe. Scrivo sempre. Scrivo di tutto. Amo la scrittura di mente aperta. Pratico il refuso come stile di vita (ma solo nel tempo libero). Oggi, insieme a mio marito, gestisco Sblab, il nostro strambo studio di comunicazione, progettazione architettonica e visual design. Vivo felicemente con Beppe, otto gatti, due cani, quattro tartarughe, due conigli e la gallina Moira.