ATTUALITÀ

Conoscere l’autismo per affrontarlo meglio

Oggi è la Giornata mondiale della consapevolezza dell'autismo: da Rain Man alle ultime scoperte, ne parliamo con il neurologo Mark Tano Palermo

d_200804_d_200804_WAAD7_02_180wideSALUTE – Un disturbo a elevato impatto sociale, sulle cui cause e sulla cui diffusione i dati sembrano non essere certi. Nella Giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo ascoltiamo il contributo del neurologo Mark Tano Palermo, Professore di Psichiatria presso il Dipartimento di psichiatria e medicina del comportamento al  Medical College of Wisconsin, Milwaukee, USA e presidente del Law and Behavior Foundation.

Nell’immaginario collettivo i disturbi autistici sono stati rappresentati cinematograficamente dal film Rain man nel 1988. Che cosa ha lasciato questo film?

Ah! Rain man. Questo film ha purtroppo affrontato riduttivamente il problema, sottolineando peraltro quella che è una delle caratteristiche, in realtà, più rare dell’autismo, ossia le capacità di savant che occasionalmente si incontrano in queste persone. Competenze fuori dell’ordinario in ambito mnemonico, che purtroppo sono quasi sempre sganciate da una finalità “produttiva”, e, come in Rain man rischiano di diventare un fenomeno da baraccone. È stato comunque un film utile. Ha portato attenzione anche in Italia a una malattia che era, ed è tuttora per la verità, relegata negli ambulatori e nei centri diurni e rimane a tutt’oggi avvolta in un certo mistero.

Come si fa diagnosi e quali sono i segni per cui un familiare può sospettare l’insorgenza del disturbo?

La diagnosi è fondamentale, ed è importantissimo che venga fatta il più presto possibile. Prima si fa diagnosi, prima si interviene. Non è sempre facile riconoscere il disturbo: la diagnosi si avvale di osservazioni seriali del comportamento, di strumenti standardizzati e di grande competenza. L’autismo, come altre condizioni psichiatriche, si manifesta lungo uno spettro di gravità. Due bambini possono essere entrambi autistici ma essere completamente diversi l’uno dall’altro. È quindi purtroppo facile che una persona senza grande esperienza e attenzione possa fare errori diagnostici. E questi errori non rimangono senza conseguenze, dal momento che la diagnosi si abbatte come un macigno su una famiglia.

Si può dare una definizione semplice e comprensibile di autismo?

L’autismo è un disturbo dell’intelligenza sociale, della relazione, per così dire. Ma non solo. Accanto ad anomalie nel rapporto con gli altri, anche con i genitori, si associano problemi a carico dello sviluppo armonioso del linguaggio e spesso, ma non necessariamente, alcuni comportamenti ripetitivi. Il bambino quindi può evitare il contatto oculare, resistere l’abbraccio, o non ricambiarlo, non sorridere. Può parlare tardi. Ma talvolta prestissimo, imparando a leggere da solo! Come dicevamo, il disturbo si manifesta infatti in modi molto diversi. Può capitare che un bambino passi ore a far ruotare oggetti o ad allinearne altri, e che sia terribilmente infastidito se interrotto. A tutto questo si aggiungono a volte iperattività, fastidi sensoriali – alcuni bambini affetti dal disturbo sono per esempio insofferenti al caldo o al freddo, a sapori o odori che altri non notano, a rumori comuni, come per esempio una ventola o l’aspirapolvere.

La diagnosi o il sospetto richiede consapevolezza ed esperienza. Nel genitore richiede grande attenzione. Avere altri figli aiuta molto, perché c’è un termine di paragone.

Sull’autismo esistono molti miti da sfatare: ci fa qualche esempio?

I miti da sfatare? Quelli non mancano mai. Il mito della madre “frigorifero”, che vedeva la madre come responsabile del problema è stato ampiamente smontato, anche se in alcuni ambiti clinici incredibilmente ancora resiste con tenacia, anche se sotto altre vesti.

Forse un mito da sfatare è che le persone con autismo siano “prigioniere” e che debbano essere liberate, e che questo sia possibile trovando la chiave del loro problema. Questo atteggiamento ha infatti portato a fenomeni estremamente controversi e pericolosi nell’ambito di approcci non ben validati scientificamente.

La pet-therapy è senza dubbio molto usata in ambito neuropsichiatrico infantile e può essere estremamente utile quando è inserita nel contesto di un approccio multidisciplinare. Ciò che è necessario chiarire, come con qualsiasi altro intervento, è l’obiettivo della terapia. Questo è molto importante perché al suo raggiungimento ne segue un altro, e un altro ancora. Altrimenti rischia di non essere più terapia.

Quali sono le cause più probabili del disturbo?

L’autismo è una malattia che definiamo multifattoriale, ha molte concause. Esiste sicuramente, in alcune situazioni, una vulnerabilità genetica, ci sono aree specifiche del cervello che sono coinvolte, ma purtroppo non sappiamo identificare un gene o una causa responsabili del disturbo.

Quali sono gli approcci terapeutici che hanno mostrato i migliori risultati finora?

Non esiste un unico approccio all’autismo. Esistono i bambini, o le persone, con autismo, ed esistono una serie di approcci. Nessun approccio può funzionare da solo. L’autismo è una condizione con cause molteplici e soprattutto con manifestazioni molteplici. Gli interventi devono essere mirati a obiettivi molto concreti e misurabili. Uno delle componenti più importanti della terapia è l’informazione. Rendere consapevoli genitori e insegnanti e insegnare loro tecniche base e strategie significa aumentare in modo esponenziale gli stimoli al cervello dei nostri bambini. In Paesi più sensibili al problema un bambino riceve dalle 15 alle 20 ore di terapia alla settimana. In Italia temo si sia ben al di sotto di questi numeri. Ma genitori e insegnati possono essere terapisti molto validi.

Quali sono i più grossi deficit nella gestione dell’autismo nel nostro Paese?

Le carenze sono molte, dall’esordio alla fine della malattia. È fondamentale ricordare che l’autismo si associa a una durata di vita normale. E a parte il presente, esiste il “dopo di noi”, ossia la normale e drammatica preoccupazione dei genitori riguardo al futuro dei propri figli quando loro non ci saranno più. I genitori, purtroppo, come in moltissime altre situazioni in Italia, si sostituiscono per forza a istituzioni carenti sul piano assistenziale. Al di là dell’occasionale isola felice, che media e istituzioni usano inevitabilmente come esempio di avanguardia terapeutica, la realtà, è ben diversa. Ma per questo bisogna chiedere alle famiglie. Ce n’è a migliaia.

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