SALUTE

Immunodeficienze primitive, il problema è ancora la diagnosi

Si tratta di oltre 300 malattie diverse, ma oltre il 70% dei malati non ha ancora una diagnosi precisa. Serve fare formazione

17347381771_26b52e2676_zSALUTE – “Il grosso problema delle immunodeficienze primitive è che ancora oggi spesso non vengono diagnosticate e sono quindi trattate come semplici infezioni. Ancora moltissime persone oggi passano parte della loro vita a curare i sintomi con diversi tipi di farmaci, solamente perché sono state indirizzate da uno specialista non adatto per individuare qual è davvero il loro problema, da un ematologo o da un oncologo invece che dall’immunologo.” A parlare è Andrea Gressani, vice presidente di AIP, Associazione Immunodeficienze Primitive.

Le immunodeficienze primitive (IDP), lo dice il nome stesso, sono un gruppo di patologie congenite rare, anche diverse fra di loro, accomunate dal fatto di colpire il sistema immunitario, con la conseguenza che chi ne è colpito soffre frequentemente di infezioni di vario genere, che non riesce a combattere con le normali terapie antibiotiche. A livello globale vi sono circa 6 milioni di malati di una qualche forma di immunodeficienza primitiva, circa una persona ogni 1200. Fanno parte di questo gruppo di malattie la granulomatosi cronica, la sindrome da IperIgE e il deficit di adesione leucocitaria. Ma anche l’Immunodeficienza comune variabile e i deficit di anticorpi specifici. Un totale di circa 300 patologie diverse, ognuna con le proprie caratteristiche, la propria gravità.

Il problema di chi soffre di queste malattie è, però, che il più delle volte non lo sa, o lo scopre dopo anni di tentativi di cura, e non per una difficoltà intrinseca dal punto di vista delle tecniche diagnostiche, dato che sono sufficienti delle analisi del sangue precise per dirimere la questione, ma perché in molti casi ai medici non viene in mente che possa trattarsi di una qualche forma di Immunodeficienza Primitiva.

Secondo recenti stime, dal 70 al 90% dei malati non ha ancora una diagnosi precisa. “Chi può riconoscere il problema è l’immunologo – spiega Gressani – mentre molto spesso i pazienti vengono inviati dal medico di base a oncologi o ematologi che di fatto non sono formati per riconoscere questo tipo di malattie, né tantomeno a porsi la domanda se l’infezione che stanno curando è fine a se stessa o se è dovuta a una immunodeficienza di fondo.” Qui non si tratta però di bravura del singolo medico, quanto di una scarsa formazione che viene elargita su queste malattie. “Spesso sono nomi che uno studente sente all’università e poi basta, e dunque quando si trova davanti un paziente con infezioni croniche non pensa subito che il problema possa essere a monte” continua Gressani.

Le associazioni per singola malattia non mancano (se ne contano oltre 50 al mondo) ma difficilmente l’informazione arriva ai medici di base, che sono i primi a confrontarsi con i sintomi del paziente. “Recentemente abbiamo organizzato un meeting a Udine a cui abbiamo invitato prima di tutto i pazienti affinché raccontassero la loro storia, oltre ai medici di medicina generale e ai pediatri, ma non è che il primo passo. Abbiamo delle linee guida precise per le Immunodeficienze Primitive, ma è necessaria un’adeguata formazione a livello di medici di base e di popolazione.”

Di recente, in occasione della World Primary Immunodeficiency week, Immunodeficiency Canada ha proposto due decaloghi, uno per i pazienti pediatrici e l’altro per gli adulti, sui principali campanelli d’allarme che dovrebbero far venire almeno il dubbio che si possa trattare di IDP. Nell’elenco si citano per esempio, nel caso dei bambini quattro o più infezioni dell’orecchio nel corso di un anno, due o più polmoniti in un anno e due o più mesi di trattamento con antibiotico con scarsi risultati. Per gli adulti si segnalano fra le altre cose due o più infezioni dell’orecchio nel corso di un anno, frequenti ascessi e infezioni virali ricorrenti come raffreddore, herpes, verruche o condilomi.

I risultati di diversi studi – prosegue Gressani – hanno inoltre messo in evidenza il sospetto di una correlazione fra questo tipo di patologie e l‘insorgenza di tumori. Ai pazienti adulti è infatti consigliato di sottoporsi a gastroscopia e colonscopia periodicamente.

Vi è infine un ulteriore questione tutt’altro che secondaria: quella del riconoscimento di queste malattie dal punto di vista legislativo, la possibilità cioè di usufruire dei benefici della Legge 104, che prevede agevolazioni lavorative per i familiari che assistono persone con handicap e per gli stessi lavoratori con disabilità. “La legge garantisce tre giorni di permesso mensile o, in alcuni casi, due ore di permesso giornaliero a persone a cui viene riconosciuta un’invalidità, come per esempio la necessità di recarsi con una certa frequenza in ospedale per ricevere le cure necessarie, ma purtroppo in questo caso la legge non è uguale per tutti” conclude Gressani. “A decidere se un malato, anche con regolare diagnosi di Immunodeficienza, ha o meno diritto all’invalidità è una commissione regionale, che può decidere di non riconoscere l’invalidità anche in presenza di una regolare diagnosi.”

@CristinaDaRold

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Crediti immagine: Steve Davis, Flickr

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.