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Siamo #senzafiato e non sappiamo perché

La Fibrosi Polmonare Idiopatica colpisce 5mila persone in Italia ogni anno, ma dove vivi fa la differenza, almeno per il portafoglio

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SALUTE – “Quando dico a un paziente che non si tratta di cancro, ma di Fibrosi Polmonare Idiopatica la reazione è quella di un sospiro di sollievo. Peccato che la IPF non sia certo meglio del cancro, dato che ha una mortalità nettamente più elevata dei tumori più comuni. Solo fa apparentemente meno paura perché la si conosce poco”. A parlare è Carlo Vancheri, docente di Malattie Respiratorie presso l’Università di Catania.

L’IPF è una malattia rara del polmone che colpisce ogni anno dalle 30 mila alle 35 mila persone, e più mortale della maggior parte dei tumori: la sopravvivenza a 5 anni si assesta intorno al 30% dei casi. È stata al centro di #senzafiato, una recente campagna di sensibilizzazione promossa dall’Osservatorio Malattie Rare (OMAR), ma rimane il fatto che a tutt’oggi di IPF si muore e non si sa perché.

Gli alveoli di questi pazienti vengono col tempo sostituiti da tessuto fibroso, che rende i polmoni simili a una spugna, i tessuti si ispessiscono rendendo difficoltoso per l’ossigeno entrare nel flusso sanguigno. A differenza di altre fibrosi polmonari di cui è nota la causa scatenante, per esempio l’esposizione all’amianto, la IPF è una malattia idiopatica, cioè la sua causa è sconosciuta, un fattore determinante quando si tratta di cure, perché oggi il massimo che si può fare è rallentare la malattia. C’è la possibilità del trapianto di polmone, ma la percentuale di pazienti che vi accede effettivamente è inferiore al 5%.
Con l’aumentare della vita media inoltre, essa non va più considerata come una malattia della terza età, poiché può colpire anche dopo i 40 anni.

In Italia si contano ogni anno oltre 5.000 nuovi pazienti, e il trattamento per un anno costa oltre 20 mila euro, totalmente a carico del Sistema Sanitario Nazionale. Il costo di una malattia però non si misura solo in termini di farmaci, ma anche di costo della vita, di visite ed esami specialistici, che invece si pagano, o meglio, la maggior parte dei malati paga di tasca propria, mentre una piccola parte è esente: dipende dalla regione italiana in cui si vive. “Nel caso dell’IPF, solo la Toscana e il Piemonte offrono la totale esenzione dal pagamento del ticket ai malati – spiega Vancheri – mentre nel resto d’Italia queste spese sono a carico della famiglia del malato, e non si parla di una visita all’anno. Serve oggi un coordinamento nazionale, che permetta a tutti i pazienti italiani di essere trattati allo stesso modo indipendentemente dalla regione in cui risiedono.”

La vita per i malati di IPF è irrimediabilmente compromessa: una difficoltà respiratoria via via sempre più occludente, fino a restare – per citare la campagna – senza fiato. Per rendersi conto di che cosa significa respirare per un malato di IPF, è sufficiente collegarsi al sito soundofipf.it, dove sono raccolti degli esempi di respirazioni sane, di pazienti con IPF e di malati di broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO).

“Inoltre, in moltissimi casi la malattia non viene diagnosticata se non oltre un anno dopo che sono comparsi i primi sintomi” conclude Vancheri. “I primissimi sintomi di IPF, tosse secca e dispnea da sforzo, sono infatti comuni a molte altre malattie, fra cui asma, BPCO o insufficienza cardiaca congestizia.”
A causa di una scarsa conoscenza a riguardo, spesso i pazienti son disorientati quando si ritrovano a dover fare i conti con una diagnosi così definitiva. Una buona notizia in questo senso arriva dalla Regione Lombardia, che proprio lo scorso aprile ha approvato per la prima volta in Italia un Percorso Diagnostico, Terapeutico, Assistenziale (PDTA) specifico per la IPF, un documento che contiene indicazioni sui centri specializzati dove rivolgersi e sul supporto psicologico e che fissa criteri specifici per la gestione di pazienti IPF, come la presenza di un gruppo multidisciplinare costituito da uno pneumologo, un radiologo, un patologo e una figura infermieristica dedicata.

Qualcosa però possono fare anche i pazienti stessi. Anzitutto smettere di fumare dato che il fumo oltre a essere reputato un fattore di rischio per la malattia, ne accelera la progressione. Si può inoltre richiedere tramite il proprio medico di avere accesso a percorsi di riabilitazione polmonare e ossigenoterapia. Inoltre i pazienti con IPF soffrono sovente di infezioni delle vie respiratorie, per cui si consiglia di informarsi sulle vaccinazioni, come quella contro la polmonite e quella anti-influenzale.

@CristinaDaRold

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.