SALUTE

La cura tra uso e abuso

Partirà a breve un'iniziativa frutto della collaborazione fra Slow Medicine e la SIMG di Torino per riflettere su 5 pratiche ridondanti

health-621354_1280SALUTE – Est modus in rebus, scriveva Quinto Orazio Flacco, cioè c’è una misura nelle cose. Quello della giusta misura è un problema abissale fin dai tempi degli antichi, e travolge inevitabilmente anche la medicina. Quando è davvero opportuno assumere un farmaco, oppure sottoporsi a una visita specialistica? “Quando ne abbiamo bisogno” verrebbe da rispondersi, ma proprio qui si apre la voragine e l’argomento è delicatissimo. Ne abbiamo parlato con Silvana Quadrino, co-fondatrice del movimento Slow Medicine, che raccoglie medici e professionisti della salute che da anni si pongono l’obiettivo di proporre una medicina “sobria, rispettosa e giusta”. L’occasione è quella di un’iniziativa nata in collaborazione con la sezione SIMG – Società Italiana di Medicina Generale di Torino, per favorire il dialogo fra medici e pazienti intorno ad alcune buone pratiche legate al concetto di cura appropriata, e che verrà presentata a Torino il prossimo 25 maggio.

Anzitutto, per chi non lo sapesse, ci racconta che cos’è Slow Medicine?

Slow Medicine è un movimento, ma prima ancora una rete, una comunità di persone, professionisti del settore sanitario ma anche pazienti o familiari di malati, che credono in un approccio alla salute basato sulla scelta di un sistema di cura sostenibile, sia dal punto di vista della riduzione degli sprechi, sia dal punto di vista della qualità di vita delle persone. Una cura che non sia ridondante rispetto al bisogno, ma al tempo stesso che assicuri a tutti la possibilità di essere curati nel migliore dei modi.

In che termini secondo voi la prassi medica spesso non è conforme ai vostri principi?

Il punto è che in molti casi, e per molte ragioni, gli interventi sono ridondanti rispetto a quello che effettivamente serve. Non fraintendiamoci, le malattie vanno curate con tutti i mezzi necessari, ma è importante distinguere quello che è un bisogno effettivo e quello che invece purtroppo è solo il frutto di un’abitudine decennale di ricorrere ai farmaci per qualsiasi piccolo disturbo. Prendiamo il caso delle normali influenze stagionali: oggi è frequente andare dal medico chiedendo un antibiotico nella convinzione che serva per guarire più in fretta. Dire che l’antibiotico in questi casi è inappropriato significa non solo che non servirà per guarire prima, ma che può rivelarsi dannoso e dare luogo al problema ormai molto segnalato che è la farmacoresistenza. Per il medico rifiutarsi di prescrivere farmaci o esami non appropriati può essere difficile perché il paziente è abituato a chiederli: per questo il nostro obiettivo è anche educativo, sia nei confronti dei medici sia nei confronti dei pazienti. Il nostro motto è infatti “Fare di più non significa fare meglio”.

Ma come dirimere fra ciò che è ridondante e ciò che non lo è?

Questo è un punto importante, e la nostra strategia è quella di procedere passo dopo passo, individuando  pratiche molto precise considerate ad alto rischio di inappropriatezza. Ognuna delle società scientifiche che aderiscono al nostro progetto ne ha individuate cinque. Il progetto “Scegliamo con cura” lavora su quelle individuate dalla Società Italiana di Medicina Generale. Sono presentate con cinque slogan su cui ragionare: è proprio vero che ci serve un antibiotico per guarire prima, una radiografia per capire meglio il mal di schiena che ci affligge, un antinfiammatorio per scacciare in fretta un certo dolore, una benzodiazepina per dormire e un inibitore di pompa protonica per proteggere lo stomaco? Si tratta di cinque pratiche assai comuni, ma in molti casi abusate.

Prendiamo per esempio l’ultima, l’inibitore di pompa protonica per proteggere lo stomaco. Si tratta di un farmaco che viene prescritto spesso ai pazienti una volta dimessi dall’ospedale dopo un intervento chirurgico, per attutire i disturbi allo stomaco legati all’assunzione di altri farmaci. In molti casi il paziente continua ad assumere il farmaco anche per molto tempo dopo l’intervento, quando non sarebbe più necessario.

Ma non vi sono regolamenti precisi a cui i medici devono attenersi in questo senso?

Certo che ci sono, esistono precise linee guida per la somministrazione dei farmaci, ma il problema è che in questi casi in cui non si sta parlando di vita o di morte, molti medici tendono a fare quello che chiedono i pazienti. Per questo secondo noi bisogna agire su due livelli: da un lato sugli operatori sanitari, e su questo la collaborazione con la SIMG e con le Società Scientifiche è preziosissima, dall’altro sui pazienti, poiché sono loro che richiedono l’antibiotico per l’influenza o per il mal di gola credendo che sia necessario per guarire o semplicemente poiché pensano di poter guarire più in fretta.

Serve molta, molta informazione, e proprio la comunicazione dei rischi è l’anima di questa nostra iniziativa, che si protrarrà fino al 2016 attraverso incontri, corsi di aggiornamento per medici e diffusione di materiale informativo. Per esempio abbiamo in programma di far uscire un fumetto per ognuna di queste cinque pratiche non “slow”. Quello che ci interessa è infatti rendere le comunità mediche sempre più consapevoli dell’importanza di prescrivere in modo appropriato, ma soprattutto dare loro le competenze per comunicare tutto questo ai loro pazienti nel modo giusto.

E da qui in avanti, avete in mente di mettere in piedi altre iniziative come questa?

Il nostro è un movimento che mira a sensibilizzare e a coinvolgere chiunque condivida il nostro sguardo sulla salute e desideri avere un’occasione per riflettere sulla propria professione e sul concetto di salute. Al momento abbiamo cominciato questa sperimentazione a Torino, ma abbiamo avuto feedback di interesse anche da alcune regioni come il Piemonte e la Sardegna, da aziende ospedaliere, da molti Ordini dei Medici di diverse province. Va detto poi che Slow Medicine rappresenta l’Italia all’interno della rete internazionale “Choosing wisely” che si pone gli stessi obiettivi di appropriatezza e di scelte sagge in tutti gli ambiti della cura.

@CristinaDaRold

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.