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La follia nella Grande Guerra: storie di soldati e di un manicomio

Lettere, fotografie e ricordi che ricostruiscono la storia dei soldati della prima guerra mondiale ospitati nell'ex ospedale psichiatrico di Padova

LA VOCE DEL MASTER – A un secolo dall’inizio della prima guerra mondiale, una donna viene chiamata per spostare un armadio. La donna è un’archivista, e l’armadio si trova all’interno del complesso socio-sanitario ai Colli, sede dell’ex ospedale psichiatrico di Padova. All’apertura dell’armadio, la scoperta: faldoni di documenti, lettere, foto dimenticate da decenni. Sono le cartelle cliniche dei soldati ricoverati in manicomio dal 1915 al 1918.

Circa ottocento pazienti, quasi una piccola città all’interno di una struttura che si configurava come una realtà autosufficiente, con i propri orti e giardini, la porcilaia, i ciabattini, gli artigiani, oltre al personale medico e infermieristico.

Tutti soldati provenienti dal fronte, tutti giovani, per la maggior parte poverissimi. Uomini originari di tutte le zone d’Italia, travolti da una guerra senza precedenti che lascia il segno su corpo e mente. La tensione delle lunghe attese in trincea, il terrore della battaglia che si tentava di vincere costringendo i soldati a bere, le immagini di morte e distruzione provocavano negli uomini diverse reazioni. Stati di esaltazione con uso improprio dell’arma, aggressività, ma anche catatonia, mutismo, perdita della ragione. Il soldato veniva condotto all’attenzione del medico militare, e di lì in manicomio in osservazione, fase che poteva durare sino a tre mesi. Scopo del ricovero era la cura, affinché il soldato potesse trascorrere un periodo di convalescenza a casa per poi tornare al fronte. Ma si può parlare realmente di cura?

Maria Cristina Zanardi, archivista responsabile del ritrovamento delle cartelle, si è immersa nello studio dei documenti cercando di ricostruire le storie di quegli uomini. Lettere, moltissime lettere con cui i soldati tentavano di mettersi in contatto con le famiglie, chiedevano cibo e supporto. Lettere delle famiglie, che soprattutto da paesi lontani chiedevano notizie dei propri cari. Lettere che mantenevano tra loro in contatto il manicomio, il servizio militare sanitario, i parenti, il comune di provenienza, talvolta il prete.

Molte di queste lettere, giunte sino a noi, non sono mai arrivate nelle mani dei destinatari. Perché? Zanardi spiega la volontà di far sentire il soldato isolato dal resto del mondo e dai propri affetti con la necessità di mandarlo nuovamente a combattere al fronte. “Se non hai nessuno che ti aspetta a casa, tu devi tornare là… togliere il senso di ogni realtà familiare spinge il soldato a voler dimenticare e a pensare che il suo destino è solo quello: morire per la patria”.

Necessario è anche contestualizzare il concetto di cura in quell’epoca storica, spiega Laura Baccaro, psicologa e criminologa. Sia perché gli stessi medici si trovarono di fronte a una situazione e a disturbi di dimensioni mai affrontate prima, sia per la diversa funzione esercitata allora dal manicomio. Nato sotto il Ministero degli Interni, quello del manicomio era soprattutto un ruolo sociale. Un luogo dove venivano isolati gli individui non desiderati dalla società; un rifugio per le tante persone senza dimora, per i “famigli”, bambini soli che venivano accolti in casa d’altri e mandati via quando non erano più utili per la campagna, per i lavoratori stagionali che al termine della vendemmia non sapevano dove andare. Un luogo dove le porte erano sempre aperte. Facilissimo entrarvi, assai più difficile uscirne. Una X come firma era una X uguale a tutte le altre, senza nessun valore identitario. Chi non aveva nessuno fuori che lo attendesse o che lo potesse riconoscere, rimaneva dentro, magari esercitandovi quei mestieri che servivano a rendere il manicomio un’entità autonoma a tutti gli effetti.

Che fine hanno fatto quegli uomini? “Mi sono sempre chiesta se siano riusciti a vivere”, dichiara Zanardi. Ma dopo Caporetto persino i riformati vennero richiamati al fronte. Le storie dei sopravvissuti parlano di una vita di ricoveri in manicomio e di disturbi psichici mai risolti.

Le lettere, le fotografie e altri oggetti che raccontano la storia del manicomio – diete, farmaci, strumentazione d’epoca –  sono esposti nella mostra “La follia della guerra – Documenti dell’ospedale psichiatrico di Padova, 1915-1918” presso la Sala Nobile del padiglione 6 del complesso socio-sanitario ai Colli: curata e allestita da Maria Cristina Zanardi, è visitabile dal 25 maggio al 3 giugno 2015.

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