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Una strategia epigenetica per combattere il melanoma

Le nuove terapie per fermare il melanoma mirano a una combinazione di più approcci, tra cui la regolazione del ciclo di vita delle cellule

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SCOPERTE – Si avvicina l’estate e si torna a parlare di sole, pelle, raggi ultravioletti e dell’importanza di un’adeguata protezione. E, purtroppo, si torna a parlare di malattie della pelle, la cui incidenza continua ad aumentare ogni anno sempre più. Tra queste, il melanoma è la più letale forma di tumore della pelle, in gran parte incurabile.
Negli ultimi anni sono stati fatti enormi passi avanti in campo terapeutico, grazie a trattamenti a carico del sistema immunitario o mirati a elimare bersagli specifici. Si tratta però di terapie che si sono dimostrate efficaci solo in determinati gruppi pazienti, o comunque non risolutive a lungo termine.
In questo scenario, cercare approcci alternativi diventa essenziale, come dimostra uno studio pubblicato su Molecular Cell che mette in luce l’importanza di una regolazione epigenetica nello sviluppo del melanoma. La ricerca si è concentrata sulle interazioni molecolari di una proteina espressa a livelli molto alti nei pazienti affetti da questi tumori, e associata a un maggiore tasso di mortalità. Silenziare questa molecola, hanno scoperto i ricercatori, potrebbe rendere le cellule più sensibili alla chemioterapia.
Per capirne di più, abbiamo parlato con Chiara Vardabasso, ricercatrice italiana presso la Ichan School of Medicine al Mount Sinai di New York e autrice che firma a primo nome questo studio.

Cosa significa “regolazione epigenetica” e qual è il protagonista della vostra ricerca?

La definizione ufficiale di epigenetica è qualsiasi cambiamento a livello di espressione dei geni che però non è scritto nel DNA ma dipende dalle modificazioni della cromatina. La cromatina è una struttura formata da DNA e da particolari proteine chiamate istoni: in pratica il DNA si attorciglia attorno agli istoni e solo così può essere contenuto all’interno di una cellula.
Ecco, il nostro lavoro non ricerca mutazioni a carico di geni che possono accelerare la progressione del melanoma ma si occupa appunto delle modificazioni epigenetiche.
Il protagonista della nostra ricerca è un particolare istone, chiamato H2AZ2, che è espresso a un livello più alto nei pazienti con melanoma ed è associato a una prognosi peggiore per questi soggetti.

La vera domanda a questo punto è: cosa fa questa proteina, perché ce n’è di più nei pazienti con melanoma?

Abbiamo scoperto che il suo ruolo è quello di regolare il normale ciclo di vita di una cellula, accelerando la crescita e la proliferazione delle cellule del melanoma. In pratica, una cellula che ne ha di più ha un vantaggio rispetto alle altre, può moltiplicarsi più velocemente e quindi è in grado di guidare la crescita tumorale.
Non mi stupirebbe se H2AZ2 avesse un ruolo anche in altri tipi di tumori, ma non ci sono ancora evidenze al riguardo. In realtà questa proteina non è mai stata presa in considerazione finora, la vera protagonista in letteratura è l’altra isoforma, H2AZ1. Spero che l’uscita del mio lavoro invogli altri gruppi a studiare questa molecola in diversi tipi di cancro.

Quindi se si potesse eliminare questo istone si potrebbe rallentare la crescita del tumore e curare pazienti affetti da melanoma?

Sì certo, anzi questo è l’aspetto del mio lavoro che mi piace di più, quello delle potenziali applicazioni cliniche intendo. Non voglio dare false informazioni o speranze ai pazienti però, gli esperimenti che abbiamo condotto noi sono tutti in vitro e quindi il nostro è un lavoro di ricerca di base abbastanza lontano dalle reali applicazioni cliniche. Certo è che i risultati sono incoraggianti e il prossimo passo sarebbe quello di fare degli esperimenti in vivo, su modelli di topo e modelli di melanoma, e poi eventualmente si potrebbe arrivare a una fase preclinica.

Non avete avuto nessun contatto con i tessuti di pazienti con melanoma?

Al contrario. È vero che la sperimentazione è stata fatta in vitro ma il punto di partenza, fondamentale per noi, sono stati proprio i pazienti. Questa è la cosa bella del Mount Sinai: lavorando in un ospedale, collaboriamo con dermatologi e chirughi e abbiamo accesso ai campioni di pelle dei pazienti trattati. Abbiamo perciò collezionato un grande numero di tessuti di melanoma con i quali siamo riusciti a costruire una vera e propria banca.

Per gli esperimenti, siamo prima partiti dalle cellule in vitro e poi abbiamo avuto l’opportunità di testare i nostri risultati in vivo su cinquanta campioni di tessuto, quindi una cosa sicuramente significativa. E abbiamo confermato che anche in vivo c’è un aumento di H2AZ2: è stato importante vedere che davvero i soggetti con melanoma ne producono di più.

Quali sono le prospettive future del suo lavoro?

Le prospettive sono varie. La nostra ricerca ci ha portato a identificare un’altra proteina, che si chiama BRD2, che si lega a H2AZ2 e pensiamo possa avere un ruolo importante nello sviluppo del tumore. Penso che i miei studi punteranno a capire il ruolo di questa molecola. È una cosa che mi interessa davvero molto perché esistono già delle molecole usate in clinica che inibiscono BRD2 e si tratta sempre di una regolazione epigenetica. In questo campo ci sono ricerche avanzate, soprattutto per quanto riguarda le leucemie, ma ci sono alcuni studi in vivo sull’uso di queste molecole anche per il melanoma.

Sempre melanoma dunque…

Sì sì, melanoma. È il momento giusto per studiare questo tipo di tumore perché è un argomento caldo in questi ultimi anni.
Quattro anni fa, sono usciti due studi (ndr. questo e questo) su una nuova terapia cosiddetta mirata, cioè che va a inibire uno specifico gene, una specifica proteina. Il bersaglio era una proteina chiamata BRAF, mutata nel 60% dei melanomi. I pazienti metastatici trattati con inibitori di BRAF in 6 mesi hanno avuto una regressione totale del melanoma, un risultato spettacolare. Purtroppo però questi pazienti hanno avuto ricadute perché il melanoma aveva sviluppato resistenza a questi farmaci. Ora ci sono moltissime ricerche volte a scoprire perché e come si è sviluppata questa resistenza.
Comunque le nuove strategie terapeutiche puntano molto sulla combinazione di diversi farmaci e la nostra scoperta su H2AZ2 potrebbe essere usata assieme agli inibitori BRAF per rallentare e inibire i meccanismi di resistenza.

Leggi anche: Due farmaci immunoterapici contro il melanoma

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.
Crediti immagine: Lisa Widerberg, Flickr

 

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Luisa Alessio
Biotecnologa di formazione, ho lasciato la ricerca quando mi sono innamorata della comunicazione e divulgazione scientifica. Ho un master in comunicazione della scienza e sono convinta che la conoscenza passi attraverso la sperimentazione in prima persona. Scrivo articoli, intervisto ricercatori, mi occupo della dissemination di progetti europei, metto a punto attività hands-on, faccio formazione nelle scuole. E adoro perdermi nei musei scientifici.