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Il lato oscuro del legame tra il fracking e l'accademia: ecco cosa succede negli Usa agli scienziati che criticano la fratturazione idraulica

simon fraser university
ATTUALITÀ – Frackademia. Gli statunitensi la definiscono come la congiunzione di interessi dell’industria degli idrocarburi, di scienziati compiacenti, di laboratori accademici finanziati dall’industria stessa, e di società di consulenza e di pubbliche relazioni amiche, allo scopo di promuovere una rappresentazione della fratturazione idraulica (o fracking) come rispettosa dell’ambiente. Una miscela esplosiva dalle conseguenze inquietanti.

Qualche giorno fa, un rapporto pubblicato sul sito Public Accountability Initiative (qui nella sua versione integrale in inglese) svela alcuni dei lati più oscuri della frackademia. Intimidazione di scienziati critici nei confronti del fracking attraverso senati accademici in cui agiscono figure strettamente legate all’industria petrolifera; campagne di diffamazione di scienziati dissidenti; suggerimenti neppure tanto velati di licenziare ricercatori scomodi… tutto questo nell’unico paese in cui i gas di scisto, bersaglio delle tecniche di fratturazione idraulica, hanno portato a una vera e propria rivoluzione energetica, spostando gli equilibri mondiali del mercato del gas.

È proprio per questo carattere ultrasensibile dell’industria del fracking e, più in generale, del gas di scisto negli Usa, che le principali compagnie petrolifere coinvolte nel settore di ricerca e sfruttamento non vedono per niente di buon occhio chi osa esprimere posizioni critiche in merito alla fratturazione idraulica.

Esemplare è il caso, rivelato lo scorso maggio, di Austin Holland, sismologo dell’Istituto geologico dell’Oklahoma (OGS) e impiegato presso l’Università dell’Oklahoma. Holland è stato oggetto di intimidazioni da parte del direttore generale di una compagnia petrolifera, la Continental Resources. Nel 2010, nell’ambito di uno studio per conto dell’OGS, Holland aveva espresso la possibilità che l’aumento significativo di attività sismica registrato in Oklahoma fosse da collegarsi alle operazioni di fracking, e più precisamente all’iniezione nel sottosuolo dell’acqua di scarto prodotta dalla fratturazione dei pozzi.

Una presa di posizione equivalente a un anatema per Harold Hamm, direttore della Continental che, in seguito alla pubblicazione dello studio di Holland, decide di donare 20 milioni di dollari all’Università dell’Oklahoma, per l’apertura di un centro di studi sul diabete. Comincia così un tira e molla tra la Continental e l’OGS, per interposta persona di David Boren, presidente (perché il termine ‘rettore’ non va più di moda nell’università-impresa) dell’Università dell’Oklahoma, nonché consigliere della Continental.

Nel settembre 2011, Hamm avverte Boren delle possibili ripercussioni sulle relazioni pubbliche della compagnia in caso di une gestione ‘scorretta’ della comunicazione. L’OGS rivede leggermente le sue posizioni, ma continua ad affermare un legame tra il fracking e i terremoti. Le pressioni continuano per oltre due anni, e raggiungono il punto più alto nel luglio 2014, quando Hamm suggerisce a Boren di licenziare gli scienziati che sostengano l’esistenza di un legame tra terremoti e fracking. A fine 2014, l’Oklahoma avrà registrato 584 terremoti di magnitudine non inferiore a 3.0: 109 in più dell’anno precedente.

Nel marzo 2015, la rivista EnergyWire pubblica per la prima volta la notizia delle pressioni subite dall’OGS al fine di silenziare lo studio sui terremoti. Difficile ipotizzare che non vi sia alcun legame con la chiusura, un mese più tardi, dell’Osservatorio geofisico Leonard da parte dell’Università dell’Oklahoma, in nome di un taglio alle spese. Come noterà il giornale New Yorker, infatti, l’osservatorio era stato donato all’università anni prima, le attrezzature erano state date in prestito dall’Istituto geologico degli Stati Uniti, e i consumi dell’edificio erano stati assai bassi negli ultimi due anni. In pratica, la chiusura dell’osservatorio è facilmente interpretabile come un’azione di ritorsione da parte dell’Università, o della Continental. Non che faccia molta differenza, a questo punto, visto l’intreccio d’interessi.

Se l’episodio dell’Oklahoma è certamente tra i più eclatanti tra quelli avvenuti negli Stati Uniti, non è però il solo: il geologo Geoffrey Thyne, per esempio, è stato licenziato due volte – la prima nel 2006 dalla Colorado School of Mines, e la seconda nel 2012 dall’Università del Wyoming, per aver espresso, nel primo caso, una posizione critica in riguardo a uno studio dell’Agenzia di protezione ambientale Usa (EPA) sulla possibile contaminazione delle acque di un fiume a causa del fracking – che l’EPA aveva escluso; nel secondo caso, per alcuni commenti sulla quantità di acqua usata nel processo di fracking, secondo Thyne molto maggiori di quelle stimate dall’industria.

Anche in questi due casi c’è più di uno zampino dell’industria petrolifera, i cui legami sia con la Colorado School of Mines, sia con l’Università del Wyoming, emergono da un esame degli enti finanziatori e dai consigli direttivi delle due istituzioni: consigli direttivi in cui sono presenti accademici che hanno lavorato o lavorano per compagnie petrolifere. Il rapporto della PAI contiene altri episodi di intimidazione, riguardanti membri del personale delle Università di Pittsburgh, della Cornell University, e dell’Università del Texas: azioni che mettono fortemente in questione la libertà di ricerca sul tema del fracking negli Stati Uniti, e l’indipendenza di un gran numero di università statunitensi fortemente legate all’industria petrolifera.

Leggi anche: Il fracking è una questione politica

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Crediti foto: Simon Fraser University

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