SCOPERTE

Quanto caccia il vostro gatto?

Quando vagabondano fuori casa, i piccoli felini mietono una considerevole quantità di vittime, molte delle quali nemmeno vengono mangiate. E i numeri cominciano a preoccupare

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SCOPERTE – Qualche tempo fa la National Geographic Society e l’Università della Georgia hanno dato il loro contributo alla quantità di gatti che popolano internet. Questo contributo si chiama Kitty Cams Project ed è servito (oltre che a fornire ottimi spunti per un’infografica a dir poco geniale) a quantificare il numero di prede che cadono vittime dei gatti domestici che i padroni lasciano scorrazzare all’aperto, oltre che a studiare il loro comportamento e la percezione pubblica dei piccoli felini. 

Se per molti immaginare il proprio micio nelle vesti di serial killer è impensabile -anche se inizialmente è quello che ci deve essere piaciuto di lui-, più concretamente i numeri della ricerca (condotta su 60 gatti domestici, tutti in salute e ben nutriti e dotati di una piccola videocamera) sono stati questi: mediamente un gatto ogni tre uccide piccole prede, e lo fa circa due volte alla settimana: quasi il 50% di questi trofei di caccia non vien mangiato né portato a voi come piccolo regalo morto, ma lasciato a marcire.

E i padroni di questi gatti dotati di videocamera? Nel vedere le riprese, sono rimasti piuttosto sconvolti. D’altronde se l’abitudine dei gatti di “giocare con il cibo” non è una novità, vedere FluffyKittyPrincess che prende a zampate un uccellino in fin di vita può non essere il modo migliore in cui vorremmo pensare a lei. Ma la quantità di prede -al continuo aumentare dei gatti domestici- comincia a preoccupare chi si occupa di conservazione. In realtà lo fa già da un po’, con valutazioni come questa su Nature Communications (era il 2012). 

Ora dai felini degli Stati Uniti l’attenzione si è spostata su quelli britannici (circa 10 milioni di gatti), che ragionando su stime simili a quelle USA mietono ogni anno svariati milioni di vittime tra uccelli, piccoli roditori e rettili. Il nuovo lavoro da poco pubblicato si è concentrato su due paesi del Regno Unito, Mawnan Smith e Thornhill: i proprietari di gatti sono a quanto pare non troppo consci delle capacità dei loro piccoli killer, e i numeri delle prede sono qualcosa che non riescono a immaginare.

L’obiettivo dell’ultimo studio (pubblicato su Ecology and Evolution) era principalmente capire se i proprietari di gatti siano o meno consapevoli della minaccia rappresentata dai loro animali domestici per la fauna selvatica e dell’entità di questa minaccia. Un approccio che probabilmente è lontano dal pensare comune, che all’idea di “minaccia per la fauna selvatica” pensa al bracconaggio, all’inquinamento, alla deforestazione e al cambiamento climatico.

E se nelle grandi città è probabile che molti scelgano di tenere il micio in casa per scongiurare rischi come il vederlo investito dalle automobili, per chi vive lontano dai centri abitati l’idea di lasciare i gatti liberi all’aperto è più che normale. Come recepirebbero queste persone la proposta di chiuderli in casa, o di farli uscire un po’ di meno? È quello che volevano capire gli scienziati e la risposta è: male. O perlomeno è quanto emerso dopo aver chiesto un parere a 58 nuclei familiari per un totale di 86 gatti.

Se ne parla da un bel po’ (qui un interessante pezzo su TIME, del 2013), anche se ci riesce ovviamente difficile far entrare nella nostra quotidianità l’idea che il gatto di casa sia una tale minaccia. I proprietari, spiega Matthew Evans, co-autore della pubblicazione, sarebbero decisamente restii all’idea di non far uscire il gatto per tutelare le potenziali prede che potrebbe uccidere, ma sono molto più facilmente disposti ad accettare altre strategie “di gestione”, ad esempio castrazione e sterilizzazione, perché associate anche al benessere del loro animale domestico (oltre al fatto che si tratta di ottime pratiche per combattere il randagismo).

“Nel nostro studio abbiamo cercato di capire quanto i proprietari di gatti siano consapevoli del loro comportamento predatorio. Si sono dimostrati piuttosto inconsapevoli della cosa, e non erano d’accordo con alcun tipo di misura che permettesse di ridurre l’impatto dei gatti domestici sulla fauna selvatica locale”, spiega Evans. “Abbiamo dimostrato quanto sarebbe complicato cambiare l’attitudine dei proprietari di gatti, che vedono la predazione dei loro animali domestici come una naturale parte del funzionamento dell’ecosistema”.

@Eleonoraseeing

Leggi anche: Gatto schizzinoso? Una questione evolutiva

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: Caroline Granycome, Flickr

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".