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Quando faremo l’orto su Marte?

Se ne è parlato a Roma ad Agrispazio, per fare il punto sulle ultime tecnologie

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FUTURO – Quando potremmo fare l’orto sulla Luna o su Marte? Non certo molto presto, ma intanto la ricerca scientifica galoppa. Abbiamo rivolto questa domanda a Daniela Billi, docente di astrobiologia presso l’Università di Roma Tor Vergata, fra gli organizzatori del convegno intitolato Agrispazio, che si è tenuto il 17 luglio in occasione di Lazio Innova, nell’ambito dell’evento organizzato dalla Regione Lazio per Expo.

“La prima cosa che dobbiamo comunicare – spiega la Billi – è che c’è un’enorme differenza fra pensare di creare dei sistemi in grado di sopravvivere in un ambiente extraterrestre riciclando prodotti umani come acqua, anidride carbonica e urina, e pensare invece questi sistemi svincolati dalla presenza dell’uomo. Secondo, una cosa è mettere a punto sistemi vegetali svincolati dal terreno, in colture idroponiche, un’altra legarli al suolo di pianeti chimicamente così diversi dalla Terra come la Luna e Marte.”

Si tratta di differenze assai rilevanti quando si parla della possibilità di implementare la vita, e da tenere a mente quando si parla della ricerca scientifica che opera in questa direzione.
Anzitutto, portare la vita vegetale sulla Luna o su Marte non è la stessa cosa. “Il punto è anzitutto la gravità – prosegue la Billi – che su Marte è 1/3 rispetto alla Terra, e sulla Luna addirittura 1/6. Al momento la maggior parte dei dati provengono dalle simulazioni condotte a bordo della Stazione Spaziale Internazionale in assenza di peso oppure in condizioni di microgravità simulate a Terra di microgravità; la germinazione di un seme terrestre in condizioni lunari e marziane deve essere ancora testata e questa fornisce il presupposto per cominciare a parlare di agricoltura su altri pianeti. C’è poi il problema del campo magnetico, che sul nostro pianeta è fondamentale per schermare le radiazioni ionizzanti.”

Le tecnologie più avanzate al momento si stanno focalizzando su sistemi chiusi, senza cioè alcun contatto con il suolo. “Sistemi in grado di raccogliere gli scarti umani, come CO2 e urina e trasformarli in acqua, ossigeno e cibo”. Per pensare alla messa a punto di sistemi in grado di garantire la messa a terra delle piante invece, bisognerà attendere ancora molto, anche se prospettive interessanti vengono dal mondo dei batteri estremofili.

Al momento gli esperimenti per testare la vita in condizioni simili a quelle aliene coinvolgono isole lontane come le Hawaii, dove a breve partirà la spedizione HI-SEAS (Hawaii Space Exploration Analog & Simulation) oltre ovviamente all’Antartide, altro luogo estremo terrestre, che da tempo è stato scelto come avamposto privilegiato per questo tipo di esperimenti. Nel 2017 partirà infatti il primo test di serre marziane al polo sud.

“Va detto poi che qui non stiamo parlando di un nuovo tipo di agricoltura, di un agricoltura svincola dal suolo, in idroponica: la produzione di cibo coltivato direttamente sul suolo alieno per ora è fuori discussione” precisa la Billi. “Una sfida a cui invece stiamo lavorando qui a Tor Vergata, riguarda il possibile utilizzo dei cianobatteri estremofili, che potrebbero permetterci, in futuro, di pensare a una vegetazione collegata al suolo lunare o marziano. In altre parole, realizzare degli avamposti su un altro pianeta indipendenti dalla presenza dell’uomo. Per noi questo è il vero obiettivo ultimo.”

@CristinaDaRold

Leggi anche: Batteri su Marte

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: Lazio Innova, Flickr

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.