CRONACA

“Medicine non ne avevo”

La testimonianza di un medico volontario di Emergency, al lavoro in questi giorni al porto di Augusta (Siracusa)

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CRONACA – “L’immagine di giovedì che mi porto nel cuore? Quella di un ragazzo di neanche 20 anni, proveniente dal Gambia, che ha visto sparire in mare i suoi tre fratelli più piccoli. Ho pensato al mio, di fratello, e al fatto che per questo ragazzo non potevo fare niente. Medicine per lui non ne potevo avere e lì, sul piazzale del porto di Augusta, ci siamo sentiti tutti impotenti di fronte al suo dolore e alla sua disperazione”. È ancora emozionata Barbara Guglielmana, medico volontario di Emergency, quando racconta del suo ultimo turno al Polibus, l’ambulatorio mobile di Emergency, ora ad Augusta (Siracusa). Un turno che l’ha portata in contatto con i 283 migranti recuperati giovedì 23 luglio da una nave della marina militare tedesca nel Canale di Sicilia, al largo delle coste libiche. Persone di varie nazionalità (arrivano da Eritrea, Gambia, Senegal, Ghana), raccolte da diversi gommoni, uno dei quali si è rovesciato, provocando la morte di una quarantina di persone (in queste circostanze, dati precisi sono sempre molto difficili da raccogliere). “I profughi che ho incontrato giovedì non sono stati i primi da quando sono qui, cioè dal 19 luglio. Lunedì scorso erano arrivate 623 persone e nei prossimi giorni sono previsti altri sbarchi. E altri ancora sono avvenuti o stanno avvenendo in diversi porti siciliani”. Guglielmana è medico internista e lavora al Pronto soccorso del Policlinico San Matteo di Pavia. Ma, dall’anno scorso, appena può raggiunge Emergency per qualche settimana di volontariato. Finora è stata al Centro ambulatoriale di prima accoglienza di Siracusa, dove i migranti arrivano in genere qualche giorno dopo gli sbarchi, prima di partire per i viaggi che li portano – o dovrebbero portarli, se non rimangono bloccati a qualche frontiera, come successo qualche settimana fa a Ventimiglia – verso le loro mete finali, in genere paesi del Nord Europa. Questa volta, però, Guglielmana è in prima linea, direttamente al porto di Augusta. Le abbiamo chiesto di raccontarci come funzionano le cose .

Senza titoloDottoressa, com’è organizzata l’assistenza medica per i profughi in arrivo nei nostri porti?
I primi soccorsi avvengono sulle navi che li raccolgono in mare, dove ci si rende conto se ci sono situazioni critiche, emergenze particolari da gestire e indirizzare in modo specifico. Appena scesi dalle navi, i migranti sono visitati velocemente da operatori della Croce rossa italiana e dell’Asl provinciale di Siracusa, che individuano eventuali casi sospetti di malattie infettive e decidono chi inviare ai Pronto soccorso della zona (Augusta, Siracusa, Lentini). Le donne incinte, per esempio, vengono subito mandate in pronto soccorso. Infine, dopo il passaggio all’ufficio di identificazione, sostano in capannoni e tende in attesa dei trasferimenti nei centri di prima accoglienza. Qui Emergency, con altre associazioni (Save the Children, Unhcr) informa della possibilità di un’assistenza medica già al porto.

Com’è organizzato l’ambulatorio mobile di Emergency?
Nel Polibus (si chiama così) ci sono due spazi: uno per l’accoglienza del mediatore culturale (si tratta in genere di ragazzi di origine africana, che parlano non solo l’arabo, ma anche qualche dialetto locale) e uno per le visite mediche. L’approccio è quello dell’accoglienza, dell’empatia, di una presa in carico molto umana: in questo ambulatorio vedo gesti – da parte dei mediatori, degli infermieri, degli stessi medici – che raramente mi è capitato di osservare altrove. Parlo di abbracci, di contatto fisico, di sguardi particolarmente attenti, che servono a dare conforto a chi ha bisogno di rassicurazioni. E’ un momento delicato, in cui c’è un grande calo di tensione ma allo stesso tempo inquietudine per il futuro: è molto importante sapere che c’è qualcuno che ti aspetta, che può aiutarti in qualche modo.

Qual è la condizione fisica dei migranti appena sbarcati?
In generale, chi arriva non ha grossi problemi di salute, e a maggior ragione quelli che vediamo noi (i casi più gravi sono già stati inviati in ospedale). Del resto, si tratta per lo più di persone molto giovani (al massimo di 30 anni) o di mamme con i loro bambini, ai quali cercano di dare un futuro migliore. Quelli che si fanno sentire sono soprattutto gli eventi del viaggio, come la stanchezza estrema, in questi giorni aggravata dal grande caldo. E non parlo solo del viaggio in mare, anzi: per molti, il mare è l’ultimo dei problemi, perché sono persone che arrivano da itinerari lunghissimi, da campi di raccolta disumani in Libia, da torture (succede molto spesso con gli eritrei). Nonostante tutto questo, di solito ci troviamo di fronte a condizioni “minori”, come febbre, bronchite, faringite, mal di testa, piccole ferite, piccoli traumi. Magari dolori addominali, infezioni delle vie urinarie, congiuntivite. A volte qualche ustione, soprattutto da carburante. Oppure dolori osteomuscolari, che possono far sospettare fratture ma spesso sono il lascito delle torture subite.

Però le fotografie degli sbarchi mostrano operatori in tuta bianca e mascherina. Non è un’immagine tranquillizzante…
Ma quella è una misura di cautela prevista dal protocollo, e vale per gli operatori (sanitari e non solo, anche le forze dell’ordine) che incontrano i migranti sulle navi. Noi di certo non visitiamo in mascherina e tuta protettiva. È chiaro che non si può escludere a priori che qualcuno abbia l’epatite B o C o l’HIV. Però sono tutte condizioni che da noi sono presenti indipendentemente dai migranti e che non è certo facile prendere da un profugo. Per quanto riguarda la tubercolosi, chiaramente quando c’è un sospetto (tosse con espettorato di sangue) si rimanda a indagini più approfondite, in pronto soccorso o nel centro di prima accoglienza.

E per quanto riguarda la scabbia? Qualche settimana fa è scoppiata quasi una psicosi su questa malattia…
A parte che la scabbia si cura tranquillamente, vorrei ricordare che in Italia è già presente, anche senza chiamare in causa i migranti. Per esempio è piuttosto diffusa negli ospizi per anziani: nel mio lavoro al Pronto soccorso mi capita di visitare anziani con la scabbia, perché magari le condizioni igieniche in cui vivono non sono perfette. Insomma, non è proprio il caso di preoccuparsi. Al contrario, è il caso di fermarsi a riflettere sul fatto che spesso i problemi principali dei migranti, specialmente quando si verifica una tragedia come quella di ieri, non sono di natura fisica, ma psicologica. Perdere in mare fratelli, figli, genitori o amici… è un trauma enorme.

 

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Credit Immagini: Irish Defence Forces, Flickr e cortesia Barbara Guglielmana

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Valentina Murelli
Giornalista scientifica, science writer, editor freelance